Biennale Venezia 2014
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The Look of Silence – La recensione da Venezia

L'autore di L'atto di uccidere torna a parlare dell'epurazione anti-comunista in Indonesia, in un film lucidamente agghiacciante

The Look of Silence

28.08.2014 - Autore: Marco Triolo, da Venezia
Dopo aver fatto luce in maniera originale sull'epurazione anti-comunista indonesiana del 1965 con L'atto di uccidere, Joshua Oppenheimer torna sul luogo del delitto per un secondo documentario, The Look of Silence. L'approccio è totalmente diverso, il risultato altrettanto inquietante.

Se L'atto di uccidere utilizzava la forma della finzione per ricostruire in maniera fantasiosa i crimini di guerra di cui squadre della morte e militari si resero protagonisti, The Look of Silence rimane ancorato saldamente alla realtà. Una realtà così assurda da risultare tanto surreale quanto la finzione. Ma ancora più agghiacciante.

Al centro del film c'è un uomo che ha perso il fratello maggiore (mai conosciuto in realtà, perché morto prima che lui nascesse) nell'epurazione. Insieme a Oppenheimer, rigorosamente silenzioso dietro la macchina da presa a parte un paio di interventi brevi, l'uomo fa visita a coloro che si sono macchiati dei crimini e hanno partecipato, a vari livelli di gerarchia, nell'omicidio del fratello e di quasi un milione di altri presunti rivoluzionari. Lo sguardo di Oppenheimer si fa largo in un mare di omertà che tocca punte incredibili: nessuno vuole prendersi la responsabilità del massacro, eppure tutti sono ancora pressoché convinti di aver agito per il bene del Paese. E non potrebbe essere altrimenti: in una scena assistiamo a una lezione scolastica in cui agli alunni viene insegnata la versione dei vincitori senza possibilità di contraddittorio. Ancora oggi le persone che hanno perpetrato le stragi sono al potere e l'arma della propaganda è tuttora carica.

Il protagonista di professione fa l'ottico e usa le visite porta a porta come scusa per entrare nelle case dei colpevoli e sentire la loro versione dei fatti. Non c'è intento di vendetta, non c'è malizia negli occhi di un uomo buono, disposto ad ascoltare e perdonare, qualora loro stessi chiedano scusa. Ciò non avviene mai, anzi: ci troviamo di fronte il ritratto di una nazione fondata su menzogne e violenza, in cui ancora adesso le persone si raccontano una versione completamente distorta della realtà, anche se le prove di ciò che è veramente accaduto sono a portata di mano. L'ignoranza e l'isolamento delle periferie sono ovviamente terreno fertile per la propaganda: in un Paese in cui le persone più anziane a malapena sanno la loro età, è facile giocare con l'informazione. La speranza c'è, comunque: Oppenheimer ci dice che i discendenti degli assassini e quelli delle vittime convivono pacificamente e che le colpe dei padri non dovrebbero mai ricadere sui figli. Eppure la quantità di collaboratori anonimi elencata nei titoli di coda ci fa capire come ancora adesso sia molto pericoloso rivangare il passato e sbatterlo in faccia ai responsabili.

Oppenheimer ha realizzato un documentario potente, decidendo saggiamente di tirarsi indietro e lasciare che siano le situazioni a parlare da sole. The Look of Silence trascende così il formato per diventare cinema a tutto tondo. E chissà che, dopo Sacro GRA nel 2013, un altro documentario non riesca a fare il bis a Venezia.

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