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Vergine giurata – La nostra recensione

Alba Rohrwacher al centro di un dramma sulla condizione delle donne nel nord dell’Albania

Vergine giurata

09.03.2015 - Autore: Alessia Laudati
Nonostante le donne abbiano appena celebrato il proprio anniversario di libertà, il cinema sente chiaramente l’esigenza di parlare con forza degli ostacoli culturali che impediscono al genere femminile, e non solo, la piena realizzazione di sé. Il grande schermo lo fa con Vergine giurata di Laura Bispuri, un film duro ed essenziale che racconta, oltre alla difficile riscoperta da parte di Hana (Alba Rohrwacher) della propria femminilità, anche uno spaccato di storia sociale contemporanea.



Esistono infatti luoghi del mondo dove essere donna oggi rappresenta ancora una condizione di estremo svantaggio e oppressione permanente. E non siamo lontani dalla pur problematica Italia. Nel nord dell’Albania, l’osservanza del codice Kanun, brillantemente raccontato nel libro “Vergine giurata” di Elvira Dones, non consente a una donna di vivere secondo le proprie scelte personali, ma la costringe a essere continuamente assoggettata al volere e al potere dei membri maschili della propria famiglia. Eppure la cura è quasi più terribile della malattia. L’unica soluzione per sfuggire a una vita da sottomessa, è quella di diventare vergine giurata agli occhi della comunità. Uno status che necessita della rinuncia a ogni connotazione femminile, dal vestiario, passando per la capigliatura, e approdando quindi alla castità completa, diventando così a tutti gli effetti, se così si può dire, un uomo.



Il film della Bispuri sceglie di concentrarsi principalmente, pur concedendosi una serie di flashback capaci di inquadrare in maniera piuttosto bozzettistica il contesto, sulla riscoperta da parte di Hana, una vergine giurata, di una femminilità a lungo negata. Un percorso intrapreso dopo la fuga dall’Albania e il riparo a casa della sorella Lila (Flonja Kodheli), sfuggita anni prima a un destino percepito come insopportabile. Il risultato del confronto tra due diversi gradi di autonomia è una liberazione carnale che passa dal corpo, violentato nella propria essenza, e che la regista segue da vicino con lentezza, in una sorta di ritmo osservativo che paga il proprio tributo al genere documentaristico. La marcia lenta, però, si rivela la scelta ideale per raccontare con puntualità e poesia la lenta trasformazione di Hana, interpretata da una Alba Rohrwacher capace di trasfigurare il proprio corpo e la propria fisicità come le migliori colleghe d’oltralpe hanno già fatto in alcuni film culto al femminile, e contemporaneamente lanciare un messaggio politico e universale riservato a tutta la società globale. Ovvero che nel mondo esistano ancora forti disuguaglianze, spesso invisibili, ma ugualmente mortali per il corpo e per l’animo, delle quali dobbiamo necessariamente oggi liberarci.

In uscita il 19 marzo, Vergine giurata è distribuito da Istituto Luce – Cinecittà.