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Toy Story 4, la recensione del miglior film della saga Pixar

I giocattoli viventi Disney stregano per ritmo e profondità

18.06.2019 - Autore: Gian Luca Pisacane
Il cowboy Woody e la bella Bo Peep utilizzano la pellicola di un piccolo cinematografo per sollevare una “rampa di lancio”. Le bobine girano, i fotogrammi scorrono veloci. Forse è proprio questo il compito di Toy Story 4: riavvolgere, seguire la crescita di ogni bambino, per poi tornare all’infanzia. È un percorso circolare, di maturazione. “Perché sono viva?”, si domanda una posata di plastica usa e getta. “Non lo so”, risponde la forchetta che ha davanti. Dialoghi sull’esistenza, in un “cartone animato” che alla quarta avventura prova a dare la sua filosofia: essere sé stessi, lasciar fluire la propria voce interiore. Buzz Lightyear la scambia con il bottone che ha sul petto. “Pronti alla missione”, “Ritirata”, “Accendete i razzi”. Woody invece non può fare a meno di ascoltarla. E “forse è per questo che tutti gli vogliono bene”, spiega Bo Peep.

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In ventiquattro anni Toy Story ha saputo costruire la sua strada. L’intera saga segue la presa di coscienza di un essere umano, l’accettazione dell’altro, magari di un fratello (Woody nei confronti di Buzz in Toy Story – Il mondo dei giocattoli), la ricerca della propria identità (i tormenti di Woody in Toy Story 2 - Woody e Buzz alla riscossa), la perdita della spensieratezza (descritta con l’abbandono del malvagio orso Lotso in Toy Story 3 – La grande fuga), e infine la libertà, quella che proietta verso l’età adulta.



Si chiude un ciclo di struggente bellezza, con amare riflessioni sulla vita e la morte, sugli affetti che raggiungono il loro punto più alto quando li si lascia andare. La scuola, il lavoro, il tempo che non basta più per star vicino alle persone a cui si vuole bene, salutarsi per permettere all’altro di inseguire i propri sogni. Toy Story 4 è un lungo addio, agli amici di sempre, a quelli di una volta sola. A chi ci ha sempre accompagnato, ai giocattoli che alla fine sono la proiezione di tutte le nostre insicurezze: pupazzi, dinosauri, animali parlanti, cani a molla.

Questa volta con venature horror, richiami a Shining, alle bambole assassine, in un on the road in camper, dove una sosta in un luna park si trasforma in un carosello di emozioni. Una giostra dei cavalli al centro, che guarda a Delitto per delitto, ma non osa omaggiarlo; un negozio di antiquariato che potrebbe anche essere una piccola bottega degli orrori. Ma tutto è raccontato con leggerezza, senza mai abbandonare l’ironia, le sfumature tra dramma, commedia e infinito romanzo di formazione.

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Amore per il cinema, per i piccoli gesti, per i perdenti che si scoprono eroi. In un universo dove gli assoluti non esistono, e anche i cattivi hanno sempre una scelta, come l’orso Lotso in Toy Story 3. Un film di genitori e figli, di sacrificio e redenzione, mentre non smette di suonare l’ormai mitica Hai un amico in me. Il Toy Story più bello, che sfida il pirotecnico terzo capitolo, e porta la riflessione a un livello ancora più profondo. This Is The End, cantavano i Doors. E forse questa è davvero la fine, o magari un nuovo inizio, perché i pargoli da salvare/educare sono tanti quante le stelle.

Il film uscirà nelle sale il 26 giugno distribuito da Disney