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The Strain – La recensione del finale di stagione

Conclusione aperta per la prima stagione della saga vampiresca creata da Guillermo del Toro

The Strain

06.10.2014 - Autore: Marco Triolo
Attenzione: SPOILER.
 
Ci sono apocalissi e apocalissi. Se The Walking Dead è basato sullo scavo psicologico dei suoi personaggi – i cui rapporti interpersonali logorati dalla catastrofe hanno lo stesso peso, se non peso maggiore, degli zombi – Guillermo del Toro e Chuck Hogan hanno preferito puntare tutto sull'azione e il ritmo. Alla conclusione della prima stagione di The Strain possiamo dire che la scelta ha ripagato.

 
Nata dalla trilogia di romanzi scritti da del Toro e Hogan – a sua volta nata da un abortito progetto televisivo – la serie sviluppata insieme a Carlton Cuse (Lost) parte da un'idea forte: mischiare in un melting pot tanto azzardato quanto irresistibile il canone classico dei vampiri con un punto di vista scientifico alla CSI. Dunque maestri, non-morti, sette nascoste e cacciatori di vampiri convivono con una visione molto più pragmatica del morbo vampiresco, studiato come fosse un'epidemia dal dottor Ephraim Goodweather (la rivelazione della stagione Corey Stoll) e dai suoi soci Nora Martinez (Mia Maestro) e Jim Kent (Sean Astin).

Un equilibrio mantenuto per tutta la prima parte della stagione, ma che nella seconda parte, a minaccia svelata, ha ovviamente iniziato a pendere dalla parte di Abraham Setrakian (l'eccezionale David Bradley), ex prigioniero dei nazisti con una faida personale aperta contro Thomas Eichorst (Richard Sammel), il suo carceriere diventato discepolo del Maestro. Eppure, anche se “Eph” ha dovuto rinunciare alla pura visione scientifica che ne guidava le azioni, non ha mai smesso di mettere in questione il sapere di Setrakian. In mezzo a loro come una scheggia impazzita e carismatica c'è Kevin Durand, solitamente relegato a ruoli di cattivo (da Lost in poi) e che dimostra qui la sua versatilità nel ruolo del disinfestatore professionista (innamorato del suo lavoro!) Vasiliy Fet.

 
Tanti ingredienti, insomma, mescolati con enorme sapienza. La prima stagione di The Strain è stata un gran divertimento, e il finale non è da meno. Giunti finalmente al tanto atteso duello con in Maestro, Eph, Setrakian e compagnia hanno dimostrato di poter lavorare insieme per il bene dell'umanità. Allo stesso tempo, Gus (Miguel Gomez) è entrato in contatto con una forza che sicuramente giocherà un ruolo fondamentale nelle prossime stagioni: si tratta della classica setta di vampiri, già vista innumerevoli volte (come anche in Blade II, diretto da del Toro), ma la spavalderia con cui è raccontata basta a spazzare la polvere e presentarla come qualcosa di originale. Tanto più che gli esseri che la guidano rappresentano un'aggiunta affascinante alla mitologia della serie. 
 
Come era prevedibile tutti i nodi vengono al pettine eppure restano aperti. Niente si conclude davvero in questo finale, che non fa che rilanciare in grande stile la posta in gioco, in attesa che la prossima stagione – se i romanzi verranno seguiti fedelmente – affondi un po' di più in zona post-apocalittica. Nel frattempo, ci siamo goduti una stagione di “avvicinamento all'apocalisse”, una cosa che raramente si vede nella serialità. Per citare nuovamente The Walking Dead, lì si cominciava ad apocalisse già avvenuta. Qui New York sprofonda nel baratro lentamente, infondendo una dimensione di realismo al tutto: è certo che, se una cosa del genere avvenisse nella realtà, la caduta nel caos avverrebbe un passo alla volta e passerebbe, almeno inizialmente, inosservata.

 
La puntata si conclude con un monologo interiore di Setrakian, ispirato chiaramente all'incipit de La guerra dei mondi. Del Toro non ha mai nascosto la sua natura geek e usa la citazione di H.G. Wells con intelligenza. Da essa traiamo un messaggio forte sulla conclusione della prima parte della saga: il preambolo è terminato, ora è tempo di guerra.

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