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The Sisters Brothers, la recensione del western non-western di Jacques Audiard

John C. Reilly e Joaquin Phoenix protagonisti di un film che smonta il mito della frontiera con grande ironia

The Sisters Brothers

02.09.2018 - Autore: Marco Triolo
Se c'è un genere che rappresenta la quintessenza del pensiero americano è il western. L'epopea della frontiera, il mito del sogno americano della seconda occasione al di là dell'orizzonte. I grandi spazi da conquistare e le terre senza legge. In Europa abbiamo una tradizione western, certo, ma si tratta quasi sempre di opere che si pongono in contrasto con il genere classico americano, come i cinici e ironici Spaghetti Western nostrani.
 
In The Sisters Brothers, il nuovo film di Jacques Audiard, la sensibilità europea del regista traspare in maniera evidentissima. Va detto che il film è tratto da un romanzo di Patrick deWitt, che, pur essendo nordamericano, non è statunitense ma canadese. Qualcosa vorrà pur dire. Audiard prende il testo e lo usa per scardinare uno alla volta ogni cliché del cinema western americano. 



QUI L'INCONTRO CON JACQUES AUDIARD E JOHN C. REILLY.
 
The Sisters Brothers è la storia di due fratelli (John C. Reilly e Joaquin Phoenix), assassini prezzolati alle dipendenze di un losco affarista noto come il Commodoro (Rutger Hauer in un cameo). Quest'ultimo li incarica di trovare un cercatore d'oro (Riz Ahmed) che ha sviluppato un'invenzione a cui tutti mirano. Dovranno raggiungere l'investigatore John Morris (Jake Gyllenhaal) e farsi consegnare l'uomo. Ma alleanze e fedeltà sono destinate a ribaltarsi in maniere impreviste.
 
Le performance di Reilly e Phoenix è un'ottima ragione per vedere il film. I loro personaggi sono dei bambini troppo cresciuti, una sorta di versione degenere dei Trinità e Bambino di Bud Spencer e Terence Hill. Hanno alle spalle traumi infantili che li hanno spinti lontano dall'ovile. Provano un affetto fortissimo l'uno per l'altro e spesso si lasciano andare ad articolate discussioni sui loro sentimenti. Charlie (Phoenix) è anche un depresso che beve e per questo soffre di sbalzi d'umore. Eli (Reilly) indossa invece una sciarpa donatagli dalla donna che lui vorrebbe sposare, per sistemarsi e lasciarsi alle spalle la violenza.

 
Già qui ci si rende conto di come siamo distanti anni luce dai classici anti-eroi del western. I fratelli Sisters (nome che di per sé ironizza sulla mascolinità dei due) sono dei loser pasticcioni, incapaci di gestire un'operazione in fondo semplice non per mancanza di abilità, ma perché hanno troppi problemi personali per mantenere la freddezza necessaria. A salvarli è quasi sempre la loro abilità con la pistola.
 
Dall'altra parte abbiamo Gyllenhaal e Ahmed nel ruolo di due avversari che scoprono di essere più simili di quello che credevano. Quando queste quattro anime solitarie si incontrano, il film prende una piega inaspettata, piena di spunti originali. Si parla di violenza, amicizia, ricerca della felicità (quella enunciata dalla Dichiarazione d'Indipendenza americana), ma anche del modo in cui l'Uomo moderno ha modificato l'ambiente, a volte in maniera drammatica, pur di far avanzare la civiltà. Persino la colonna sonora di Alexandre Desplat evita i temi western accademici per dare al film un'impronta di dramedy contemporanea.

 
Il sogno americano, la chance di ricominciare da capo, resta. Ma può essere vista alternativamente come un bagno di umiltà o una sconfitta. E in entrambi i casi è lontanissima dalle storie di successo con cui il cinema americano ha celebrato il mito del self-made man pronto a rialzarsi e superare se stesso dopo un momento difficile.
 
Possiamo in fondo dire che The Sisters Brothers non sia un vero western, quanto uno sguardo oltre l'illusione romantica del western, verso un più profondo studio dell'essere umano, dell'amicizia virile e dell'aspirazione al cambiamento che tutti noi sentiamo. Americani o no.