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The Nightingale, la regista di Babadook racconta la brutale vendetta di una donna (Recensione)

Il western di Jennifer Kent è violento e angosciante, anche se manca di sensibilità

The Nightingale

06.09.2018 - Autore: Marco Triolo
La forza di The Nightingale, opera seconda della regista di Babadook, Jennifer Kent, è quella di infiammare gli animi. È un film molto violento, urlato, manicheo. Aggettivi che viaggiano sul filo del rasoio tra complimento e critica. Nei suoi momenti migliori, The Nightingale è un western/road movie crudo e un “rape and revenge” che, per una volta, sceglie di non trasformare improvvisamente la sua eroina in una macchina di morte infallibile. Al contrario, ne sfrutta proprio la fallibilità per rendere la sua vendetta più umana e dolorosa. Nei suoi momenti peggiori cade vittima dei suoi stessi ideali, dimentica di dipingere qualche zona grigia per dare loro maggiore credibilità e, così facendo, attutisce l'impatto del suo grido di denuncia.
 
The Nightingale è la storia di Clare (Aisling Franciosi), emigrata dall'Irlanda e detenuta dai militari per un crimine commesso in passato. Quando questi (comandati da un cattivissimo Sam Claflin) le uccidono la famiglia, Clare si lancia al loro inseguimento attraverso i boschi della Tasmania, aiutata da una guida aborigena, Billy (la rivelazione Baykali Ganambarr).
 
Il film, come già detto, unisce generi diversi: il western australiano, il road movie, il rape and revenge (quel filone che racconta la vendetta dopo una violenza sessuale). Dipinge un mondo crudele e violento in cui non c'è spazio per la felicità e in cui le aspirazioni vengono regolarmente disattese. Un mondo in cui c'è una netta separazione tra le etnie, con gli aborigeni costretti a servire gli invasori per pochi spiccioli. Anche la protagonista è, inizialmente, razzista, ma questa è l'unica concessione alla complessità della Kent, che per il resto ci tiene a specificare – nei dialoghi, oltre che nella messa in scena – quanto i maschi bianchi colonialisti siano tutti malvagi, gli indigeni siano figure nobili oppresse e costrette a vivere da schiavi nella loro terra e le donne possano contare solo sulle altre donne per sopravvivere in questo mondo. È tutto giustissimo e tutto condivisibile, ma un po' di sfumature in più avrebbero dato maggiore forza al messaggio.
 
Purtroppo, Kent sceglie anche di affidarsi a una protagonista non all'altezza. Aisling Franciosi non possiede il ventaglio di emozioni necessario per il ruolo e, dopo la tragedia che ne scatena la furia, assume un atteggiamento da adolescente rabbiosa che non riesce a comunicare il suo dramma e la spinta a vendicarsi. Fortunatamente gli scambi tra Clare e Billy sono invece riuscitissimi e costituiscono il cuore del film. È l'evoluzione del loro rapporto, anche se non originalissima, a venderci ogni svolta di trama.
 
È impossibile però non amare il tentativo di mettere in scena una vendetta femminile sporca e brutale, immersa nel fango e nel sangue. Dove ogni ferita inferta fa male, ogni morte è lenta e disturbante. Kent dimostra molto coraggio quando sceglie di svuotare il finale di ogni tentazione catartica, ritrovando in extremis una sensibilità che sembrava aver dimenticato nel resto del film. La stessa che aveva dimostrato nel folgorante esordio Babadook.
 
Resta un'opera seconda che, pur non all'altezza della prima e pur essendo altalenante, ha l'impatto di un bel destro in piena faccia e conferma Jennifer Kent come una voce da tenere d'occhio nel panorama del cinema internazionale.