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The Grand Budapest Hotel - La nostra recensione

Nella genealogia alberghiera di Wes Anderson continua il suo personalissimo tour romantico.

Fiennes e il suo Budapest Hotel<br>

06.04.2014 - Autore: Mattia Pasquini
Sempre di piu' Wes Anderson sembra essersi ormai caratterizzato come regista 'privato'. Sia per la sensazione di appartenenza a un esclusivo circolo dei tanti che lo apprezzino per scelta estetica (apparentemente aprioristica, a volte) e affinita' di spirito, sia per la sua tendenza - ma e' parte costituente del suo cinema - a raccontare storie in una maniera tanto personale e intima, con una tale compassione, da avere quasi l'impressione di essere di troppo durante una sua proiezione.

In questo The Grand Budapest Hotel, film d'apertura della 64ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino, dove ha vinto il Gran premio della giuria, accade lo stesso. E non. Per la nostra gioia, e disappunto insieme. La piccola delusione di aver ritrovato l'Anderson World (soprattutto quello emotivo e sentimentale) immutato, nel suo osservare in maniera quasi manierata e formalmente distaccata saghe 'familiari' complesse, dolenti e surreali insieme; la gioia di averne potuto partecipare ancora, trovandovi luminosi seppur pochi lampi.



Il 'crime', l'action che in altre situazioni era stato affidato a personaggi animati o parodistici, qui si svolge pero' in maniera forse anche troppo prolungata e prolissa. Probabilmente per l'evidente necessita' di presentarci un affresco delle societa' praghesi degli anni 20 (tanto quella segreta, delle Chiavi Incrociate, quanto quella proto-assolutista che di nuovo invade la scena in una forma piu' esplicita di altre volte) entro il quale raccontare ancora una volta una storia d'amore. O piu' di una.



Con Moonrise Kingdom, Wes aveva spinto ancora piu' in alto il suo curriculum. Unendo amore e morte in una veste candida. Oggi l'operazione ha lo stesso segno romantico, ancor piu' nostalgico, eppure l'empatia e' minore. La partecipazione si ferma sul piano della narrazione e - per una volta - restiamo spettatori di quest'ultimo sogno del quarantacinquenne texano. Il libro che vediamo scriversi (anche registicamente) davanti ai nostri occhi, nella cronaca di un narratore d'eccezione e nella circolarita' del ritmo, si conclude e si affida alla nostra sensibilita' per eternarsi. Ma - forse per nostra incapacita', ma e' colpa del fruitore o del demiurgo? - questo non sembra succedere.

Una piccola (grande) delusione, che si sconta durante la visione e che rimane addosso a lungo. Forse fino alla prossima replica dello stesso film (con questo o un altro titolo). E che rischia di vanificare la solita incredibile carrellata di scene e scenografie, camei e personaggi, ipnotiche ripetizioni e rocamboleschi inseguimenti dei quali non vi anticipiamo niente (ma Murray, Norton, Swinton, Law, Balaban, Dafoe e persino il tanto bistrattato Fiennes basterebbero da soli) per non scoprire il gioco di Wes.


The Grand Budapest Hotel esce in Italia il 10 aprile 2014, distribuito dalla 20th Century Fox.