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Sucker Punch - La nostra recensione

Un film affascinante ma troppo teso alla ricerca di sottotesti, e conseguentemente poco centrato a livello estetico e narrativo

Sucker Punch - Jamie Chung, Jena Malone, Abbie Cornish, Vanessa Hudgens e Emily Browning

28.03.2011 - Autore: Adriano Ercolani
Quest’ultimo, attesissimo lungometraggio diretto da Zack Snyder arriva a confermare due questioni fondamentali inerenti al suo cinema. La prima è che si tratta realmente di un cineasta che ha una sua idea specifica, una sua poetica cinematografica che lavora sia sulla forma che sul contenuto (o la sua programmatica assenza, come vedremo). La seconda è che comunque continua ad osare troppo, a sfruttare l’aspetto produttivo e mainstream a lui messo a disposizione in maniera eccessivamente spregiudicata.

Emily Browning in Sucker Punch

Se con “300” Snyder aveva sfacciatamente raccontato la superficialità del machismo inserendolo in una visione estetica perfettamente funzionale a quel vuoto contenutistico, con “Sucker Punch” compie un’operazione forse anche troppo antitetica: raccontare, analizzare, sezionare l’inconscio femminile e i simbolismi a esso legati, e inserire tutto questo in una confezione che ne rifletta ogni minima sfaccettatura mantenendo al tempo stesso la sua specifica visionarietà. L’esperimento è affascinante, anche ammirevole, ma allo stesso tempo troppo ardito per riuscire. Come sempre nel cinema di Snyder l’incipit è da antologia: dopo i clamorosi titoli di testa di “Watchmen”, anche “Sucker Punch” riassume tutta la storia della giovane Babydoll (Emily Browning) in una scena vorticosa, drammatica, viscerale, emotivamente devastante. Nella prima parte del film la sceneggiatura procede magnificamente scandita, le metafore sono precise e non invadenti, i personaggi sono settati con cura. La volontà specifica del cineasta di costruire un’architettura narrativa ed estetica che sia continuamente un rimando ad determinati aspetti della psicologia ferita della giovane protagonista, tra l’altro messi in scena attraverso continui simbolismi, appesantisce il lungometraggio in maniera evidente.

Jena Malone, Abbie Cornish, Vanessa Hudgens in Sucker Punch

La storia, volutamente costruita per essere un processo di illuminazione interiore a tappe, diventa farraginosa e ripetitiva quando si dedica più a questo intento che a un’efficace fluidità narrativa. Allo stesso modo l’idea di messa in scena di Snyder lavora su delle variazioni visive e cromatiche talmente impercettibili da risultare nella seconda parte abbastanza “piatta”, pur proponendo situazioni e contesti in teoria differenti tra loro.
Anche il meticoloso, ammirevole lavoro su scenografie e costumi è totalmente orientato a svelare la progressione/regressione psicologica ed emotiva dei personaggi, sorvolando ad esempio e in maniera abbastanza sorprendente sulla carica erotica degli stessi, fattore che se adoperato con lucidità li avrebbe resi molto più sfaccettati. Alla fine Babydoll e le sue compagne di avventura vengono percepite più come figure/funzione che come eroine dotate di un loro spessore drammatico. Anche il nichilismo che è alla base di questa storia era molto più potente e diretto in “Watchmen”, che rimane senza dubbio l’opera migliore di Snyder, un film bellissimo e sottovalutato.

Il regista Zack Snyder insieme alle sue attrici sul set di Sucker Punch

Sucker Punch” è un oggetto misterioso, indubbiamente affascinante, ma forse troppo radicale nelle idee che contiene per essere insieme sia spettacolo che riflessione. Snyder, per quanto possa essere appoggiato per il suo coraggio, non è comunque riuscito a centrare un bersaglio forse ancora troppo difficile da cogliere.

La pellicola è distribuita nei cinema dalla Warner Bros.

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