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Revenge, la recensione del film con Matilda Lutz consigliato solo a chi ha lo stomaco forte

L'opera prima di Coralie Fargeat è un rape & revenge movie in mezzo al deserto. Da settembre nei cinema

31.07.2018 - Autore: Gian Luca Pisacane
Duello nel deserto. La bella di turno sfida i suoi aguzzini sotto il sole cocente, tra le rocce e le caverne. L’atmosfera è cupa, l’aria si fa pesante, e il più classico dei rape and revenge movie (stupro con vendetta annessa) si trasforma in un manifesto femminista. All’inizio la protagonista viene descritta come un oggetto del desiderio, un pezzo di carne con cui divertirsi. Nessuna umanità, solo attrazione. La macchina da presa esalta le sue forme, si sofferma sui suoi fianchi che ancheggiano, mentre gli uomini sbavano dietro di lei.

Poi la violenza, il cambiamento: la principessa prende coscienza del suo essere donna, della forza interiore, e non si lascia sottomettere. Imbraccia il fucile, e da preda diventa cacciatrice, in un delirio di sangue e urla. Revenge (che condivide il titolo con il classico interpretato da Kevin Costner nel 1990) è un film di corpi che inseguono il piacere, per poi trovare solo lo strazio. La pelle di Matilda Lutz (che interpreta la povera ragazza di nome Jen) nelle prime sequenze è perfetta, liscia e abbronzata. Ma le cicatrici non tardano ad arrivare, il colore rosso la ricopre e anche il suo sguardo cambia, da innocente a feroce.



Leggi l'intervista alla protagonista: Matilda Lutz sanguinaria in Revenge

Lo spirito pulp batte forte, con echi al cinema di Quentin Tarantino. Jen potrebbe essere la Sposa di Kill Bill, che in un attimo ha perso tutto. Le due condividono la determinazione, la naturale predisposizione al massacro. Non si fermano davanti a nulla, in un tripudio di teste che esplodono e arti mozzati. La Sposa usava la spada di un samurai, Jen un fucile da cecchino. Il richiamo nostalgico all’Oriente qui viene aggiornato con l’andare del tempo, con la potenza delle armi da fuoco dotate di mirino ottico, e proiettili che stenderebbero anche un orso.

L’esordiente Coralie Fargeat gioca con i colori accesi, alterna il giallo scintillante della luce con le sfumature dei vetri colorati della casa. Crea geometrie, momenti di tensione, sguardi, per poi abbracciare lo splatter. Si assiste a un L’angelo della vendetta meno sofisticato, che ricorda un fumetto per adulti.



Il divertimento è assicurato, specialmente per chi cerca emozioni forti e ha lo stomaco per sopportarle. La sequenza dell’abuso è l’unica a non essere esplicita: non c’è alcun compiacimento, solo la condanna. Invece di inquadrare la disperazione della vittima, Fargeat si sofferma su chi si limita a guardare in silenzio, invece di intervenire. È la metafora di una società che spesso non alza neanche un dito per difendere i più deboli, ma l’aria sta cambiando.

Chi tace è colpevole come il carnefice, e riceverà la stessa punizione, anzi forse sarà il primo a pagare. La rivalsa si tinge di rosa, le eroine salgono al potere, e i maschi (in questo caso forse un po’ stereotipati) cadono sotto i colpi della giustizia fai da te. Non ci sono più regole, specialmente nella solitudine di una villa da milioni di dollari. È l’alba di una nuova era.

Revenge arriverà nei cinema dal 6 settembre, distribuito da Koch Media