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Red Joan, la recensione della nuova spy story con Judi Dench

La storia vera di Melita Norwood, che a 87 anni fu accusata di aver passato documenti top secret ai sovietici. Gioventù e ideali secondo Trevor Nunn

Judi Dench

07.05.2019 - Autore: Gian Luca Pisacane
La morte di M (il capo di 007) in Skyfall è stato forse uno dei momenti più alti delle avventure dell’iconico James Bond. La madre (putativa) che guardava negli occhi il figlio (adottivo), mentre il cielo bruciava e i fratelli si scannavano. I complessi edipici che sfociavano nella distruzione della famiglia, l’epica che cedeva il passo alla tragedia. M è sempre stata l’emblema dell’integrità, dell’amore per la patria. Aveva il volto di Judi Dench. In Red Joan si ribalta la prospettiva: Dench è una traditrice, un’agente al servizio segreto del KGB e non di Sua Maestà.

La storia è quella di Melita Norwood, qui Joan Stanley, signora di 87 anni che fu accusata di aver passato documenti top secret ai sovietici durante la Seconda Guerra Mondiale. Norwood ha collaborato al Progetto Manhattan, alla creazione della bomba atomica, poi sganciata su Hiroshima e Nagasaki. Ma la sua “lealtà” non è stata solo verso l’Inghilterra. Sui giornali nel tempo è diventata famosa come “Nonna spia”. Al cinema si è trasformata in “Joan la Rossa”.



L'anima è quella di un film di spionaggio, che vorrebbe giocare sull’effetto nostalgia e distaccarsi dalle eroine formato Red Sparrow, Salt, Atomica biondaLa spia è una persona comune, molto vicina al modello fornito anche dal cinema di Martin Ritt. Ma a pesare su Red Joan è la presenza col contagocce di Judi Dench. La vicenda si svolge su una prevedibile doppia linea temporale. Un interrogatorio, la polizia, i ricordi che fluiscono. Il focus è sul passato, sulla giovinezza della doppiogiochista. Dove il racconto è laccato, i luoghi comuni abbondano, e l’affresco storico non viene approfondito.

A farla da padrone sono gli intrighi amorosi, i personaggi caricaturali, spesso simili a macchiette che, in fondo, hanno poco da nascondere. Il ritorno ai giorni nostri è una ventata di aria fresca, con Dench sotto assedio. Interpreta un personaggio fragile, senza più la forza di una volta, che rischia di trovarsi sola. Forse neanche il figlio avvocato vorrà rappresentarla in tribunale. Lei cerca di risollevare le sorti dell’operazione diretta da Trevor Nunn, ma ha poco spazio di manovra. Il regista preferisce il drammone in costume, dove si punta sulla commozione e sulle battute ad effetto. Lo spirito da comizio si alterna allo smaccato trionfo dei buoni sentimenti, e alla fine nessuno sembra essere davvero così cattivo.

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L’unica riflessione interessante su questa vita turbolenta purtroppo non viene sviluppata. Joan sostiene che per raggiungere la pace ogni schieramento deve avere le stesse armi. Quindi, per evitare un’altra Hiroshima, bisogna cedere il nucleare anche all’URSS. Obiettivo: uno stallo, chiamato poi Guerra Fredda. L’intuizione non brilla per originalità, ma avrebbe restituito un po’ di brio. Red Joan è tratto dal romanzo La ragazza del KGB di Jennie Rooney, già autrice del fortunato La voce dei nostri silenzi. Per Judi Dench si tratta della cinquantesima apparizione sul grande schermo.

Il film uscirà nelle sale il 9 maggio distribuito da Vision.

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