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Recensione da Venezia: Tre manifesti a Ebbing, Missouri, la dark comedy su giustizia e vendetta

Frances McDormand guida un cast in forma smagliante nel nuovo film del regista di In Bruges. Uno sguardo sulla violenza che permea la società americana

Tre manifesti a Ebbing, Missouri

04.09.2017 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
La comunicazione come unico antidoto alla rabbia e alla violenza che pervade la società (non solo americana). Al terzo film, Martin McDonagh torna ancora in America, ma stavolta è l'America del Midwest, quella di una piccola comunità chiusa in cui un terribile delitto – lo stupro e omicidio di una ragazza – porta a una faida tra la madre di quest'ultima, Mildred Hayes (Frances McDormand), e il corpo di polizia. Dopo mesi senza sviluppi sul caso, la donna affigge tre manifesti in cui domanda al capo della polizia Willoughby (Woody Harrelson) che si impegni a risolvere il caso. Ma quest'ultimo ha già i suoi bei problemi: sta morendo di cancro.
 
È la rabbia a fare da motore principale alle azioni dei personaggi per buona parte di Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Una rabbia che nasce, a volte da una giusta causa (la morte violenta di una persona cara), altre volte invece è una rabbia profonda e repressa, nata da problemi personali. Come quella dell'agente Dixon (Sam Rockwell), non molto sveglio, mammone e apertamente razzista. La rabbia genera incomprensione, l'incomprensione genera violenza. Ogni scontro che avviene nel corso del film è un passo ulteriore verso conseguenze pericolose e sempre più drammatiche. Ma c'è un rimedio.
 
E quel rimedio è la parola. Woody Harrelson si fa portavoce della ragione e il suo personaggio è la chiave per aprire la strada a una serie di risoluzioni imprevedibili quanto toccanti. È vero, “toccante” è una parola forse abusata, ma in questo caso McDonagh riesce davvero a raggiungere corde profonde e parlare tanto al lato razionale del cervello quanto a quello emotivo.
 
Ma non vogliamo dare l'impressione che Tre manifesti a Ebbing, Missouri sia un cupo dramma su delitto e castigo e sulla violenza della società americana. No, il film di McDonagh è principalmente una dark comedy e, come tale, è perfettamente riuscita. Nel senso che si ride molto, i dialoghi sono costruiti in maniera chirurgica, gli scambi tra una durissima e cinica Frances McDormand e i poveracci che tentano di mettersi sulla sua strada sono esilaranti. I tempi comici di ogni singolo membro del cast eccellenti. McDonagh sa davvero come far respirare le singole scene in modo che durino sempre il tempo giusto per ottenere ciò che serve.
 
E poi c'è quel finale – tranquilli, non lo sveleremo! – quel finale perfetto sotto ogni punto di vista. Quel finale in cui l'arco di maturazione dei protagonisti è portato a compimento e tutto torna. È difficilissimo azzeccare il finale di un film al 100% ma McDonagh ci riesce, chiude nell'esatto momento in cui è giusto che chiuda, portando a casa un messaggio di rara potenza. Ma, d'altro canto, non c'è una singola cosa sbagliata in questo film, una singola svolta che non avvenga esattamente dove e come deve avvenire.
 
Come non c'è una singola scelta di casting che non paghi: la McDormand è una garanzia in questo tipo di ruoli, ma a colpire davvero sono Sam Rockwell, nel ruolo di uno stupido, un idiota, uno sconfitto a cui è impossibile non volere bene, nonostante tutti i difetti terribili, e soprattutto Woody Harrelson, sul cui volto si agita un ventaglio di emozioni contrastanti con una facilità che lascia senza fiato. Meriterebbe un Oscar per questo ruolo.
 
Tanto di cappello a un autore che, dopo soli tre film, è in grado di dire così tanto e in maniera così equilibrata.
 
Tre manifesti a Ebbing, Missouri sarà distribuito in Italia da 20th Century Fox a partire dal 11 gennaio 2018.