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Narcos: Messico, la recensione dell'appassionante nuova stagione della serie Netflix

L'attenzione si sposta dalla Colombia al cartello di Guadalajara, e la serie torna alle vette della prima stagione

Narcos: Messico

16.11.2018 - Autore: Marco Triolo
Sono ormai quattro anni che Narcos racconta l'evolversi del traffico di droga internazionale e la guerra ai trafficanti scatenata dall'amministrazione Reagan negli Stati Uniti. Dopo due ottime prime stagioni incentrate su ascesa e caduta di Pablo Escobar e una terza stagione più debole, che proseguiva raccontando il vuoto lasciato dalla morte di Escobar e riempito dal cartello di Cali, i creatori Carlo Bernard, Chris Brancato, Doug Miro e lo showrunner Eric Newman fanno la scelta giusta, l'unica possibile per ravvivare il marchio. Ovvero un reboot, che sposta l'attenzione dalla Colombia al Messico e tira indietro le lancette dell'orologio per esaminare un'altra carriera criminale, contemporanea a quella di Escobar.
 
Narcos: Messico narra le origini del cartello di Guadalajara, nato per volere del geniale boss Miguel Angel Felix Gallardo (Diego Luna), dapprima con l'intento di unificare i produttori di marijuana e invadere il mercato americano con potenza inaudita. E poi diventato distributore della cocaina di Escobar e Cali. Lo fa prendendosi come al solito libertà dovute a scelte drammaturgiche, per far rientrare anni e anni di noiose indagini in un formato adatto al genere della serie, il thriller d'inchiesta e indagine.

 
Il risultato è una stagione che torna alle vette della prima, sbarazzandosi finalmente del pesante fardello di Escobar. La terza stagione indagava, come detto, il vuoto lasciato dalla sua morte e, di conseguenza, il vuoto si sentiva anche nelle puntate. Pareva di assistere a una coda superflua di una bella storia (e, scrivendolo, ci rendiamo conto che anche la lotta a Cali è costata vite. Ma qui parliamo di una serie TV e non di un documentario). La nuova stagione è invece emozionante e coglie lo spettatore all'amo dai primi minuti per non lasciarlo mai andare.
 
Il merito va a una formula e una scrittura ormai consolidate ed esperte. Ma anche ai due nuovi protagonisti: da un lato Diego Luna, che interpreta il suo Gallardo con eleganza e lo configura come un “cattivo” ben diverso da Escobar. Quello indossava magliette, era rozzo e sovrappeso. Quando tentava di entrare nella società bene, stonava. Questo invece nella ricchezza ci sguazza e si sa muovere, almeno fino a che non incontra un pesce più grosso che lo rimette al suo posto. Dall'altro c'è il Kiki Camarena di Michael Peña, attore che spesso vediamo in ruoli comici, ma che ha un peso drammatico da “everyman” notevole. Seguiamo le loro vite, sia sul lavoro che in privato, e il bello è che, per un bel po', non simpatizziamo per l'uno o l'altro. Perché Gallardo non è descritto come un pazzo psicopatico e violento, ma come un freddo e astuto uomo d'affari.



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La cosa più interessante, però, è vedere come ogni singolo personaggio sia costantemente alla ricerca della libertà, dell'indipendenza, e non riesca mai a ottenerla. Sono tutte figure tragiche che, per quanto si sentano in cima alla rispettiva catena alimentare, alla fine devono sempre servire qualcun altro. Qualcuno che tarpa loro le ali, che impedisce loro di svolgere al meglio il proprio mestiere (che si parli di agenti DEA o trafficanti). È un concetto forte che serve anche a evitare la trappola dell'idealizzazione della carriera criminale: Felix sarà pure riuscito a pacificare i trafficanti evitando spargimenti di sangue, ma la situazione non può durare perché c'è sempre qualcuno che chiede favori e che va accontentato. Qualcuno di più potente dietro l'angolo.
 
Narcos: Messico stupisce anche per come non cerca di modificare le cose più importanti e, narrativamente parlando, “banali” o poco funzionali alla costruzione di un climax drammatico. Ci sono personaggi eliminati senza tante cerimonie perché è andata così, svolte nelle indagini ignorate bellamente dalle autorità. Ci si sente spesso delusi esattamente come gli agenti coinvolti, e questo è un segnale del grande lavoro svolto dagli autori.



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Una stagione da guardare in lingua originale per l'alto tasso di spagnolo usato rispetto all'inglese. Ormai certi del successo, gli autori di Narcos sentono sempre meno il bisogno di accattivarsi il pubblico americano facendo parlare i personaggi in inglese. L'effetto verità ne guadagna molto.
 
Narcos: Messico è un thriller a orologeria capace di tenere incollati gli spettatori, la ricetta perfetta per il binge watching. La serie torna allo splendore originario in dieci episodi appassionanti. Speriamo che la lezione sia stata appresa definitivamente e che in futuro si continui su questa strada antologica.

La stagione è disponibile da oggi su Netflix.