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Motherless Brooklyn, la grande prova di Edward Norton nel suo secondo film da regista (Recensione)

L'attore torna dietro la macchina da presa a vent'anni da Tentazioni d'amore e adatta il romanzo Brooklyn senza madre di Lethem

05.11.2019 - Autore: Pierpaolo Festa
Ci si mette pochissimo tempo ad affezionarsi al nuovo personaggio portato in scena da Edward Norton. E dimenticare che Motherless Brooklyn è tanto “passion project” quanto “vanity project” per Norton, qui in versione one man band: regista, sceneggiatore, protagonista e voce fuori campo. Specializzatosi nel corso di vent’anni a interpretare personaggi “strambi” (sin da quel suo primo Schegge di paura con cui ottenne il Golden Globe e una nomination all’Oscar), Norton ha perfezionato tutto prendendo il meglio dai ruoli del passato e portandoli a un nuovo livello.  

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Sullo schermo è un investigatore privato affetto dalla sindrome di Tourette che gli provoca tic continui e gli fa urlare parolacce nei momenti meno appropriati. Un uomo che si presenta come un freak e si rivela invece come “tipo veramente acuto”. Un puro, come Forrest Gump e Rain Man, che si muove in un mondo crudele. Bastano pochi minuti per guardare questo personaggio con occhi teneri, esattamente come lo guarda il suo capo e mentore interpretato da Bruce Willis. Ambientato nel 1957, Motherless Brooklyn è una storia di vendetta. Un noir drammatico, romantico, che ingloba perfettamente anche elementi di commedia. Norton lo ha adattato soltanto in parte dal romanzo Brooklyn senza madre di Jonathan Lethem (edito in Italia da Einaudi). Ci ha messo quasi vent'anni ad adattarlo, prendendo l’essenza del protagonista e le dinamiche che lo travolgono e trasportando il tutto nella New York degli anni Cinquanta. Una lettera d’amore al “film-noir”.  Un tipo di cinema “old fashioned” destinato al grande pubblico. Un qualcosa che ormai si vede di rado nelle sale.  

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Passano dieci minuti e qualcuno ammazza Bruce Willis (l’attore appare in scena per pochissimo ma è utilizzato veramente bene), da quel momento il protagonista giura di vendicare l’amico e arrivare fino in fondo. In questa sua vendetta personale, Norton si avventura all’interno di una trama di intrighi, segreti e tradimenti in cui il male del razzismo vive la sua “età dell’oro”. Quando la storia non si snoda sempre chiaramente, allora ci pensano le atmosfere. E quando il ritmo rischia di cedere, allora gli attori salvano questo spettacolo. È entusiasmante vedere il manipolo di volti assemblato dal regista: caratteristi come Bobby Cannavale e Dallas Roberts, un grande come Willem Dafoe e soprattutto un Alec Baldwin a cui basta piazzarsi in silenzio davanti la macchina da presa con uno sguardo minaccioso per dominare la scena. 
 
Motherless Brooklyn racconta un’epoca popolata da uomini col cappello e giaccone che nascondono una semiautomatica chiusa nella fondina. Personaggi che si muovono in ambienti fumosi sotto le note di una jazz band. Duri pronti a fare a botte per risolvere problemi. E bistecche crude poggiate sui volti di chi ha subito un’aggressione. Tante scene sono ambientate in club notturni in cui Norton va e viene. Il ritmo si dilata: sembra quasi di leggere un libro per il modo in cui il regista ferma la trama, dedicandosi ai personaggi e alle atmosfere e rallentando il mystery.



Meno avvincente e travolgente di Tentazioni d’amore, quel suo primo e unico lavoro da regista che risale al 2000 - una splendida commedia romantica omaggio al cinema di Woody Allen - ma più curato nella produzione, il nuovo film  è un’opera matura, affascinante e con grandi momenti. Con Motherless Brooklyn l’attore e regista richiede al pubblico grande attenzione. Se lo spettatore sarà pronto a "reggere la distanza", allora potrà veramente vivere una delle esperienze cinematografiche più interessanti di questa stagione.  
 
Motherless Brooklyn – I segreti di una città, film di apertura della Festa del Cinema di Roma, arriva nei cinema dal 7 novembre distribuito da Warner Bros.

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