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Mange tes morts – La nostra recensione

Il film trionfatore a Torino è un polpettone graffiante di emozioni forti e stile visivo asciutto

Mange tes morts

Mange tes morts

18.04.2015 - Autore: Alessia Laudati
Il cinema autorale ha diversi modi di portare lontano il proprio spettatore. Spesso lo fa conducendolo verso stili visivi molto affilati, oppure affascinandolo con storie solo apparentemente lontane, per raccontare le proprie verità con inaspettata vicinanza al quotidiano di ciascuno.

É questo il percorso che compie Mange Tes Morts, il lungometraggio vincitore dell’ultimo Torino Film Festival, arrivato in Italia sulla scia del Festival Rendez Vous dedicato alla cinematografia francese contemporanea. E tutto nel film è una dolce presa in giro e una continua oscillazione tra reale e immaginario. Infatti, per seguire la bella opera di Jean-Charles Hue, dobbiamo innanzitutto tenerlo d’occhio mentre si inoltra nella narrazione del quotidiano di una vera comunità jenish, etnia non solo europea, che vive un’esistenza di nomadismo alle porte di Parigi e segnata da profondi valori cristiani.

Però aldilà di tale affascinante scoperta antropologica, dove il regista sceglie di muoversi innanzitutto con incredibile lentezza e accompagnato da una velocità minimale da documentario di osservazione, il film si trasforma in un vorticoso noir, pieno di sparatorie, inseguimenti, violenza e sentimenti forti. E allora la narrazione sembra soprattutto mostrare un microcosmo, che aldilà della marginalità, è capace di stabilire con fermezza il proprio totem di valori mascolini e universali. 
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