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Lo streaming del weekend - Il ponte delle spie, disponibile su Chili

Una spy story targata Steven Spielberg. Le tante anime del regista nella Berlino divisa. Imperdibile

Spielberg

14.12.2018 - Autore: Gian Luca Pisacane
Due uomini camminano nella neve, in una Berlino divisa. Sono l’avvocato Donovan, negoziatore “improvvisato”, e un agente della Cia. Sullo sfondo, un cinema. In programmazione: Spartacus di Stanley Kubrick, Uno, due, tre! Di Billy Wilder e Il villaggio dei dannati di Wolf Rilla. Il peplum, la commedia, la fantascienza che sfocia nell’orrore. Tante anime di una Germania contesa. La ricerca della libertà da parte di un gladiatore (o del popolo tedesco?), le risate intelligenti di Wilder (il buonumore arriva dall’America?), un attacco venuto da lontano (“l’invasore” russo?).

Tre manifesti a Berlino, esposti fuori da una sala cinematografica. Tre film per restituire il sentimento di una nazione, e per sintetizzare parte dell’immaginario di Spielberg in un’unica sequenza. La “ribellione” contro un padrone spietato (il potere della Storia: Spartacus / Schlindler’s List), la commedia che analizza le paure e le ossessioni (Uno, due, tre! / 1941 - Allarme a Hollywood), e l’attacco “alieno”, da un nemico che non si conosce (Il villaggio dei dannati / La guerra dei mondi). Sono le molte facce di Spielberg: bambino che alza gli occhi verso il cielo, padre della patria, “nerd” bulimico e nostalgico, creatore di mondi.



Con Il ponte delle spie Spielberg realizza una spy story al cardiopalma, mette in scena una vicenda complessa e intrigante: il processo di una presunta spia russa negli Stati Uniti, un pilota americano che precipita in Unione Sovietica. Unica soluzione, uno scambio. Intrighi alla John le Carré, la fotografia spenta di Janusz Kaminski, con improvvisi squarci di luce che invadono le inquadrature. Lo sguardo sincero, innocente, di Mark Rylance nei panni di Rudolf Abel (il russo), la determinazione di Tom Hanks, uno stoikiy muzhik (un “eroe” tutto d’un pezzo), che si piega senza spezzarsi. Dissolvenze incrociate da antologia (quella sul ponte), la macchina da presa che insegue, ma non invade.

L’incipit sarebbe da studiare a scuola: per parecchi minuti le battute sono poche, un uomo dipinge, riceve una chiamata, si prepara ed esce di casa. Parte un inseguimento nella metropolitana, con la musica di Thomas Newman (questa volta non John Williams) che prima tace per poi scavare nell’anima. Stacco. Dopo il “silenzio” dei primi minuti, la parola assume un ruolo centrale.



Donovan, seduto su una comoda poltrona, mette nel sacco il suo rivale a un processo. Si occupa di assicurazioni, ma presto dovrà difendere la vita, gli equilibri internazionali. La magia dell’oratoria, dei dialoghi affilati come spade, delle astuzie in terra straniera. Così dall’azione repentina iniziale si passa alla riflessione, all’abilità di esporre le proprie ragioni.

“Would it help?” (servirebbe?) ripete più volte Abel. Mai preoccupato, sempre lucido. Come Spielberg, che gioca con gli opposti, si schiera dalla parte del suo Paese, mostra le barbarie senza retorica. Il suo è un percorso, che lo ha portato alla forza di The Post, alla tensione che può scaturire da una semplice telefonata, realizzata come in un action movie. È quasi incredibile pensare che subito dopo è arrivato Ready Player One, e adesso il grande regista sta lavorando a una nuova versione di West Side Story… Il ponte delle spie è disponibile su Chili.