The Post

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1971: Katharine Graham (Streep) è la prima donna alla guida del The Washington Post in una società dove il potere è di norma maschile, Ben Bradlee (Hanks) è il duro e testardo direttore del suo giornale. Nonostante Kaye e Ben siano molto diversi, l’indagine che intraprendono e il loro coraggio provocheranno la prima grande scossa nella storia dell’informazione con una fuga di notizie senza precedenti, svelando al mondo intero la massiccia copertura di segreti governativi riguardanti la Guerra in Vietnam durata per decenni.   La lotta contro le istituzioni per garantire la libertà di informazione e di stampa è il cuore del film, dove la scelta morale, l’etica professionale e il rischio di perdere tutto si alternano in un potente thriller politico. I due metteranno a rischio la loro carriera e la loro stessa libertà nell’intento di portare pubblicamente alla luce ciò che quattro Presidenti hanno nascosto e insabbiato per anni.

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
The Post
GENERE
NAZIONE
Stati Uniti
REGIA
CAST
DISTRIBUZIONE
01 distribuzione
DURATA
118 min.
USCITA CINEMA
01/02/2018
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2017
di Marco Triolo
 
The Post di Steven Spielberg è, in un certo senso, un film sorprendente. È uno di quei casi in cui la campagna pubblicitaria, per quanto accurata, non può davvero preparare lo spettatore a quello che vedrà. Perché ci si aspetta, a rigor di logica, un thriller politico nella vena di Tutti gli uomini del presidente incentrato sulla pubblicazione dei Pentagon Papers e la seguente lotta del Washington Post per difendersi dagli attacchi dell'amministrazione Nixon e, beh, queste cose ci sono. Solo che non sono il vero focus del film.
 
The Post è molto meno thriller politico e molto più dramma intimo incalzante, molto meno la storia di una redazione e molto più quella di una famiglia disfunzionale che, pur con tutti i suoi difetti, riesce a fare quadrato nel momento giusto. È molto meno un film sulla libertà di stampa e molto più un film sulla parità gender. L'unica cosa che è confermata dalla visione è che, senza ombra di dubbio, è un film non sul 1971 ma sul 2017, non tanto su Nixon quanto sull'America di Trump, dove libertà di stampa e condizione femminile sembrano aver fatto più di un passo indietro.
 
A riprova del fatto che i cliché da thriller politico a Spielberg non interessano più di tanto, c'è che due momenti topici come il ritrovamento dei documenti e la battaglia in tribunale sono risolti in maniera alquanto semplice e rapida. Spielberg quasi non ci entra nell'aula di tribunale, ce la fa solo vedere e poi la abbandona prima del processo. Il resto del film segue in maniera dettagliata la stesura degli articoli per l'edizione del Post che sganciò la bomba. Esamina il fiuto giornalistico di Ban Bradlee (Tom Hanks) e dei suoi collaboratori. E, soprattutto, segue il cammino di Kay Graham (Meryl Streep), proprietaria del giornale “inconsapevole della sua stessa autorità” perché abituata a vivere in un mondo dominato da uomini che la mettevano costantemente in riga, le ricordavano quale fosse il suo posto. Quando Kay alza la testa, quando prende la decisione che deve prendere contro tutto e tutti, è allora che il film mostra le carte, che digrigna i denti contro l'establishment. E ci travolge col suo messaggio, mostrandoci un uomo e una donna perfettamente consapevoli delle loro capacità e del loro potere, amici e colleghi uniti per uno scopo comune.
 
È una presa di posizione molto esplicita che si lascia andare anche a quel filo di retorica tipica del tardo Spielberg (e ormai inevitabile da parte sua), quasi insistente nel suo voler essere per forza attuale, al passo coi tempi. Ma è innegabile che funzioni, specialmente per contrasto in un film così vistosamente classico nei tempi della messa in scena.
 
Per il resto, ci sono la mano e l'occhio del più grande narratore per immagini vivente a fare di The Post un racconto da caminetto che ci culla nella gioia della narrazione. Tutto si muove in maniera sinuosa, tutto si incastra perfettamente, tutti gli elementi scenografici e gli attori sono esattamente dove devono essere in ogni singolo frame del film. In più c'è un'ampia dose di umorismo, a tratti tenero e a tratti beffardo. Irresistibili, ad esempio, i siparietti dedicati alla figlia piccola di Bradlee, che vende la limonata ai giornalisti mentre questi discutono di “cose da grandi” nella villetta del direttore. Si ride di gusto quando meno ce lo si aspetta e si prova affetto per questo eterogeneo gruppo di persone unite non solo dalla causa comune, ma da un affetto profondo che va al di là dell'intesa professionale. Persino il rimando finale al Watergate, che in altri film sarebbe risultato pedante e inutilmente didascalico, viene qui trattato più come una boutade conclusiva che una morale scolpita nella pietra, con grande senso dell'auto-ironia.
 
Se The Post ha un difetto, è quello di essere persino troppo accomodante nel modo in cui tutto si risolve per il meglio e la giustizia morale americana trionfa senza dubbio. Ma questi sono discorsi per politologi e sociologi. Gli amanti del buon cinema classico saranno invece felici di sapere che questo è ancora lo Spielberg de Il ponte delle spie, e tanto basta.