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Last Flag Flying, recensione: l’inefficace e retorico antimilitarismo di Richard Linklater 

Un film dallo spirito politico pieno di enfasi e poco riuscito

Last Flag Flying 

Last Flag Flying 

29.10.2017 - Autore: Alessia Laudati (Nexta)
L’ultima bandiera di Last Flag Flying è quella che sventola sulle ragioni che hanno giustificato fino a oggi l’entrata in guerra degli USA in diversi tipi di conflitti, dal Vietnam all’Iraq. Perché nel film più politico di Richard Linklater vengono man mano assaltati tutti i dogmi tipici del militarismo a stelle e strisce in una confezione che, tra commedia e dramma, prova a dirci che la violenza è sempre sbagliata e la guerra, ma dai, non è mai la risposta. 

Il film ricorda come in questi lunghi anni di guerre per procura, guerre preventive (Iraq) o guerra classiche (Vietnam), siano stati i temi della sovranità della sicurezza nazionale, del patriottismo e della fiducia nelle Istituzioni ad aver sostenuto buona parte della giustezza, della obbligatorietà e dell’ammissibilità del costo umano di quei conflitti davanti agli occhi del mondo, dei cittadini americani e dei militari stessi. Il dramma del regista di Boyhood invece li mette tutti in discussione nel viaggio on the road di tre ex marines invecchiati - Cranston, Carell e Fishburne – che nel 2003, anno di ambientazione della storia e della cattura di Saddam Hussein, hanno idealmente acquisito gli strumenti interpretativi necessari per dare un giudizio finale e diverso sul passato intervento in Vietnam. Bel tentativo, solo che la loro storia finisce per essere uno sguardo per nulla innovativo sul militarismo americano e sul processo di disgregazione dell’ideologia che ne è alla base.


Purtroppo nel film le caratteristiche positive del cinema di Linklater, la forza delle storie corali e al maschile e il realismo dei dialoghi, soccombono al peso di un cinema politico che è espressione pura di tanta retorica sul tema.


Tragedia più tempo non hanno prodotto alcuna riflessione originale in questo film riscaldato solamente dalla verve del personaggio di Bryan Cranston: un marine rissoso e ribelle inacidito dall’età e dai vizi. Insomma, qualificatosi come sequel ideale di L’ultima corvè, il film non è allo stesso livello di bellezza e di ferocia della pellicola candidata agli Oscar nel 1974, pur condividendo lo stesso autore del testo di partenza e della sceneggiatura non originale della pellicola con Jack Nicholson. Peccato, ma non serviva un altro film volutamente non violento per mostrarci tutta la contradditorietà della guerra e la gravità del conflitto interno dei tanti reduci americani.