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La terra dell'abbastanza, la recensione del film italiano rivelazione di Berlino

Dal Festival di Berlino arriva il debutto dei fratelli D'Innocenzo, un film che si inserisce nel solco della nuova ondata del nostro cinema, dal sapore moderno ed europeo

La terra dell'abbastanza

28.02.2018 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
Mirko e Manolo sono due amici fraterni che vivono nella periferia di Roma, a Tor Bella Monaca, e vivono alla giornata seguendo sogni molto semplici, frequentando l'alberghiero e sperando che questo li porterà a uscire dalle loro vite ai margini di tutto. Sono ragazzi come tanti in una realtà difficile, ma si capisce da subito come La terra dell'abbastanza non voglia ricadere nei cliché o nel classico sguardo paternalistico sui giovani. Perché Mirko e Manolo tutto sono tranne che dei criminali, non fanno né dicono cose da criminali o da bulli. Si percepisce come le loro esistenze non siano delle più facili, ma anche il fatto che non stiano genericamente cercando una via di fuga dalle responsabilità o una scorciatoia per fare soldi in fretta.

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Il crimine, semplicemente, accade, e il film dei fratelli D'Innocenzo ci dice proprio questo, che chiunque potrebbe trasformarsi in un criminale e che non tutti i criminali sono esseri spietati e senza scrupoli, ma a volte sono persone come noi spinte dalle circostanze. Un assunto davvero cupo e inquietante che fa il paio con gli scenari di Tor Bella Monaca – quelle case colorate eppure disperate che abbiamo visto anche in Lo chiamavano Jeeg Robot.

 
Non stupisce dunque che La terra dell'abbastanza, storia di due teenager che si ritrovano catapultati nel mondo della malavita dopo aver accidentalmente ucciso un “infame” con l'auto, si muova senza pietà verso un finale tragico. Ciò che sorprende, invece, specialmente perché si tratta di un'opera prima (presentata nella sezione Panorama del Festival di Berlino), è la freschezza e l'eleganza con cui compie questo arco. Il debutto alla regia di Damiano e Fabio D'Innocenzo si inserisce nel solco della nuova ondata del cinema italiano, rivestendo un dramma con la forza di una messa in scena da film europeo, rigorosa, essenziale e vibrante. Importa nel cinema cosiddetto “d'autore” la perizia tecnica che finora era riservata a pochi “casi” cinematografici italiani di genere. C'è lo stesso uso di un ottimo sonoro in presa diretta, della fotografia desaturata, degli scenari del degrado urbano e del dialetto romano che si trova nei film di Stefano Sollima.
 
La modernità del linguaggio filmico rende tutto estremamente agile e scattante, nonostante il tema deprimente. I D'Innocenzo – che giovani lo sono davvero, avendo meno di 30 anni – si muovono con maestria dipingendo un mondo allo stesso tempo distante e tremendamente vicino. E sfruttano con abilità gli attori, dai veterani come Max Tortora e Luca Zingaretti, ai due giovani e bravissimi protagonisti, Andrea Carpenzano e Matteo Olivetti. Non si ha mai la sensazione di una “simulazione” della realtà, e l'uso di una bestemmia in un momento particolarmente concitato farà storcere il naso a qualcuno, ma paradossalmente è il simbolo di una ricerca di verismo che non diventa mai scusa per appesantire la narrazione, ma la rende invece credibile e dunque ancora più efficace.

 
Un film prezioso, che evoca Non essere cattivo di Claudio Caligari ma si spoglia dell'ambientazione d'epoca per parlare dell'oggi, dell'ora. Ce ne fossero di debutti così, e di film italiani così. Peccato che negli ultimissimi minuti ci siano un paio di scelte non proprio felici in termini di messa in scena e dialoghi. Ma stiamo comunque parlando di un'opera prima e, per il resto, il film non sbaglia nulla e ci consegna due nuovi autori da tenere assolutamente d'occhio.
 
La terra dell'abbastanza non ha ancora una distribuzione in Italia, ma siamo certi che avremo presto notizie a riguardo.