NOTIZIE

La recensione di Il mio nome è Thomas, Terence Hill chiude il cerchio di una carriera 

Scritto, diretto e interpretato da Terence Hill, il film omaggia tutto il suo cinema ed esorcizza i traumi del suo passato

Il mio nome è Thomas

20.04.2018 - Autore: Marco Triolo
Che cos'è Terence Hill? È una domanda che ci interessa più di “Chi è Terence Hill?”. Sono due cose diverse: della vita privata dell'attore ci interessa e sappiamo poco, tanto è vero che nessuno si sogna mai di chiamarlo Mario Girotti. Lui è Terence Hill, quello che si muoveva come un gatto in coreografie atletiche mentre prendeva a pizze in faccia i cattivi nei film con e senza l'amico Bud Spencer. Un caposaldo della formazione cinematografica di moltissimi bambini e ragazzi in un ampio ventaglio tra gli anni '70 e '90. 

 
Lui, con quel look da bravo ragazzo americano (in realtà è italo-tedesco, nato a Venezia ma cresciuto in Germania), tanto simile a Franco Nero da dovere a questo parte della sua carriera (in Preparati la bara! interpretava non a caso Django), ha incarnato un'era del nostro cinema che non esiste più da tantissimo tempo, cancellata dall'avvento della televisione. Ma, ironia della sorte, proprio al piccolo schermo si deve la sopravvivenza del culto di Bud e Terence fino ad oggi. E sempre alla TV, Terence Hill deve la sua rinascita nei panni di Don Matteo.
 
C'è tutto questo, condensato a uso e consumo dei suoi fan vecchi e nuovi, ne Il mio nome è Thomas, il ritorno di Terence Hill al cinema a 21 anni dalla sua ultima interpretazione (Potenza virtuale, 1997) e a 24 dalla sua ultima regia cinematografica (Botte di Natale, 1994). Una summa della sua carriera condensata in 90 minuti strutturati più in singoli siparietti che in una trama coesa da film vero e proprio.
 
C'è tutto quello che ci si aspetta da Terence Hill nel 2018. C'è Trinità, in abbondanza, tra citazioni plateali di grana grossissima e riferimenti visivi leggermente più velati (ma neanche tanto). C'è Renegade – Un osso troppo duro, nell'alternanza tra cavalli e motociclette e nella struttura che, almeno parzialmente, si rifà al road movie. C'è la fede cristiana, i frati simpatici e la provincia rigogliosa e pacifica di Don Matteo. E poi c'è ovviamente il deserto dell'Almeria, in Spagna, location di tanti spaghetti western e qui destinazione finale di Thomas. Thomas, per altro, non è il vero nome del protagonista. Quello vero non lo sappiamo: lui viene ribattezzato da dei frati prima che inizi la sua avventura. Il fatto che lui stesso sia noto con uno pseudonimo non italiano come il suo personaggio non è casuale. Ovviamente.

 
È difficile giudicare Il mio nome è Thomas con le armi della critica standard. Non è un bel film. Tecnicamente la fattura è discreta, sia chiaro. Oscilla costantemente tra cinema e fiction televisiva, pendendo più da questa parte. Ma è realizzato con consapevolezza, c'è un lavoro sul sonoro e sulle location, e l'inevitabile scazzottata non è inadeguata (ed è molto più cupa del previsto). Il problema se mai è la scrittura: il rapporto tra Thomas e Lucia (Veronica Bitto), una ragazza problematica che si aggrega a lui durante il viaggio, dovrebbe far scattare un arco di maturazione in entrambi, ma in realtà si risolve, anche qui, in siparietti che avanzano a singhiozzo senza mai concludere nulla fino al finale. Per altro il viaggio finisce quasi subito, al termine del primo atto, e per il resto ci ritroviamo bloccati nel deserto con Thomas e Lucia fissi in questa dinamica.
 
Però Il mio nome è Thomas è anche un film incredibilmente sincero, scritto, diretto e interpretato da un attore/mito che riflette sulla sua carriera, la sua vita (la morte del figlio Ross è un dolore ancora cocente) e la strana catena di eventi che lo ha portato qui e ora. Di certo la fede ha avuto un ruolo importante nell'aiutarlo a superare la perdita del figlio, e qui infatti è centrale (siamo ben al di là delle battute ciniche sulla sua inclusione per far felice il pubblico di Don Matteo). Dunque Il mio nome è Thomas si configura non solo come una riflessione sul passato, ma come valvola di sfogo per esorcizzare le tragedie e far sì che si arrivi a una quadratura del cerchio in cui tutto abbia finalmente un senso.

 
Il mio nome è Thomas è, perciò, un film d'autore. Non un bel film d'autore, ma un film d'autore comunque, perché distilla le paure, i dubbi, le ossessioni e i gusti di chi l'ha creato. La dedica finale a Bud Spencer ci fa pensare che questo possa essere l'ultimo film di Terence Hill. Ma, se anche fosse così, avrebbe perfettamente senso.
 
Il mio nome è Thomas è distribuito in sala da Lux VIDE.