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La recensione di Gold: McConaughey cavalca il lato oscuro del Sogno Americano

Ispirato a una storia vera, il film di Stephen Gaghan si fa metafora della recente crisi economica. Ma si poggia sui cliché e non lascia il segno

Gold - La grande truffa

28.04.2017 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
I “biopic” spesso fanno genere a sé. Nei casi migliori, quelli in cui il regista di turno riesce a far uscire fuori del vero cinema, la ricostruzione di una storia vera si appoggia a un genere preciso (thriller politico, come ne Il caso Mattei di Francesco Rosi), oppure si sceglie di narrare solamente una porzione significativa nella vita di una figura storica. I casi peggiori sono quelli in cui una vita viene smussata degli angoli più ruvidi e narrata da cima a fondo, con grande spreco di (pessimo) make-up per invecchiare un attore o un'attrice (La teoria del tutto).

 
Tutta questa premessa per dire che Gold – La grande truffa si siede esattamente nel mezzo di questi due estremi. Il che porta con sé lati positivi e negativi. Partiamo da questi ultimi: essere nel mezzo non è mai una bella cosa. È indice di mediocrità, di una certa paura nel fare qualcosa di realmente memorabile. E sì che Stephen Gaghan, regista di Syriana, ha preso le giuste contromisure per evitare un'eccessiva aderenza ai fatti che avrebbe affossato del tutto il film: per esempio, il suo Kenny Wells, CEO di una compagnia mineraria che trova una supposta vena d'oro in Indonesia, è liberamente ispirato a David Walsh, uomo d'affari coinvolto nello scandalo della Bre-X nei primi anni '90. Da canadese, il protagonista diventa americano (del Nevada). Una mossa necessaria per modellarlo sulla fisicità e l'accento di Matthew McConaughey (un attore da vedere, se possibile, in lingua originale). 
 
Ma, nonostante Gaghan metta subito le mani avanti per non incappare in sterili confronti con la realtà, questo non è sufficiente per rendere il film libero dagli schemi del biopic più tradizionale. Il problema principale, forse, sta proprio nello spostamento degli eventi negli Stati Uniti. Gold diventa così l'ennesima, stravista storia di ascesa e caduta, di seconde occasioni, l'ennesima riflessione sul Sogno Americano e su come il suo meccanismo possa essere facilmente truccato con conseguenze devastanti. Una metafora, se vogliamo, della crisi economica dello scorso decennio, in cui l'illusione della crescita e della ricchezza portò a un tracollo epocale.

 
Tutto risulta piuttosto prevedibile, anche se indubbiamente piacevole. Gaghan sa come far funzionare gli ingranaggi della narrazione classica americana e tiene viva l'attenzione. Ne risulta un film in cui tutti sembrano essere vittime di un enorme raggiro, dal capo di un'azienda in difficoltà ai lupi di Wall Street. Una visione cupa del mito fai-da-te americano che nasconde qualche spunto interessante. Eppure si arriva al termine con l'idea di aver visto la copia di altri film fatti meglio di questo. 
 
McConaughey, da parte sua, ci mette la sua fisicità unica. Si è imbruttito parecchio per il ruolo: lo vediamo infatti ingrassato (per davvero) e stempiato, con i capelli sempre unti. Il guaio è che tende un po' troppo a gigioneggiare, si affida al proprio repertorio di gesti ed espressioni, si crogiola nella sua ritrovata statura di interprete. McConaughey si trova in un momento chiave della carriera e deve misurare con attenzione le sue prossime mosse. Ora che le sue capacità sono state accertate e premiate, non deve montarsi la testa. Deve ritrovare un certo rigore e darsi una direzione, se non vuole trasformarsi nell'Al Pacino più gigione. Gold non è un passo giusto in questa direzione, quanto un primo campanello d'allarme a cui l'attore deve dare ascolto.
 
In uscita il 4 maggio, Gold – La grande truffa è distribuito in Italia da Eagle Pictures.