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La recensione di Captain Marvel, Brie Larson sfida Wonder Woman 

Una supereroina contro il maschilismo e i pregiudizi, dalla parte degli oppressi e dei migranti. Con gli anni '90 sullo sfondo

05.03.2019 - Autore: Gian Luca Pisacane
Non solo intrattenimento, ma soprattutto politica. I fumetti della Marvel su grande schermo ormai sono lo specchio delle correnti che si scontrano nell’America di oggi. Black Panther ha segnato il debutto di un supereroe nero con una storia tutta sua. È stato un successo planetario: gli afroamericani ne hanno fatto una bandiera, è stato l’unico cinecomic a ricevere una nomination per miglior film agli Oscar. Il senso di colpa nell’era di Trump ha trovato il proprio sfogo, i democratici hanno attaccato la Casa Bianca con un messaggio pacifista, conciliatorio (“abbattiamo i muri”), di uguaglianza.



Tutti soddisfatti: le platee hanno il loro paladino, Hollywood ha tirato la sua stoccata al presidente. E Captain Marvel? Prova a seguirne la scia. La Carol Danvers interpretata da Brie Larson è la prima donna della Marvel a sfidare direttamente Wonder Woman della DC Comics. È figlia del #MeToo, dei movimenti femministi. Attacca il maschilismo, chi la vede come un oggetto, chi cerca di abbordarla in un parcheggio. Senza paura rivendica il proprio status, surclassa gli uomini, e afferma con fierezza: “Io non devo dimostrare niente”.

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Consapevole delle proprie capacità, scatena la sua furia contro l’invasore, veste i colori dell’America, rivendica il suo Born In The Usa, per sfidare il pregiudizio e aiutare gli oppressi, chi da secoli è stato segregato perché diverso. E non solo. Si schiera dalla parte dei migranti, chiede perdono per i crimini di guerra, e se la cava con una pacca sulle spalle e una sorta di: “Anche noi ne abbiamo fatte tante”. Trionfa il politicamente corretto, si strizza l’occhio a chiunque pur di aumentare il numero degli spettatori.

Si gioca anche sull’effetto nostalgia, immergendo la vicenda negli anni Novanta. Ci sono ancora le videocassette, i computer sono lenti, si sente la musica dei Nirvana e dei R.E.M. Mentre i No Doubt cantano, non a caso, Just A Girl: “Oh I'm just a girl. Guess I'm some kind of freak, 'Cause they all sit and stare with their eyes…”.

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Le sequenze iniziali richiamano le scenografie di Blade Runner, si sentono gli echi di Star Wars, la protagonista ha un passato da Top Gun e il suo gatto addirittura si chiama Goose, come Nick “Goose” Bradshaw, l’amico dell’iconico Maverick di Tom Cruise. Gli ammicchi sono tanti, forse troppi. L’atmosfera è goliardica, Samuel L. Jackson si trasforma in un “gattaro” dal cuore d’oro, l’umorismo non manca. Il tentativo è quello di collegare tutti i puntini dell’Universo Marvel, prima dell’attesissima battaglia finale di Avengers: Endgame.

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Ma l’impianto narrativo osa pochissimo, utilizza uno schema molto classico: la ricerca della propria identità, lo scontro con l’antagonista, il prevedibile colpo di scena, il “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. Interessante la scelta di spostare il campo di battaglia dalle metropoli alla provincia, alla Louisiana profonda, per poi tornare nello spazio. Ma l’estro de I guardiani della galassia, e la sua armonia tra avventura e commedia in chiave “stellare”, appartengono a un altro pianeta…

Captain Marvel, nelle sale il 6 marzo, è distribuito da The Walt Disney Company.