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La paranza dei bambini, la recensione del film tratto dal libro di Roberto Saviano

L'immagine di una Napoli criminale, di una giovinezza perduta, di un cinema sempre più maturo. Di grande forza

Claudio Giovannesi

13.02.2019 - Autore: Gian Luca Pisacane
Napoli eterna, Napoli criminale. Napoli protagonista fin dalla nascita del cinema italiano, dove amore e malavita non sono solo intrighi da palcoscenico, ma realtà di tutti i giorni. Negli ultimi anni, sullo schermo, Napoli è diventata una città violenta, pericolosa, irrespirabile. La camorra svetta più del Vesuvio. Per ritrovare la bellezza antica di questa città unica, bisogna ricorrere alla mano sicura di Gianni Amelio, che narra di una rinnovata tenerezza. Mentre Matteo Garrone, dalle pagine di un libro forte di Roberto Saviano, ne evidenzia in Gomorra l’anima nera, la morte della speranza, il trionfo dell’illecito. Il regista Claudio Giovannesi si mette sulla stessa scia, per poi distaccarsene e tratteggiare un racconto che, per virtù di stile, trova una sua appassionata identità…

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Quello di Giovannesi è un cinema di corpi, che si attraggono, si legano, per poi distruggersi. È uno sguardo sulle nuove generazioni, a partire da Alì ha gli occhi azzurri. I suoi personaggi sono spesso rinchiusi in una prigione. In Fiore le sbarre erano quelle di un carcere minorile, ne La paranza dei bambini sono le mura del quartiere dove vivono i protagonisti. La paranza, in gergo, è il braccio armato della camorra, qui formata da ragazzini allo sbando, pesci piccoli finiti in una rete troppo grande, accecati dalla “luce” del potere e dei soldi facili.

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L’innocenza muore sotto i colpi dell’ambizione, del danaro da procurarsi a qualunque costo. La vita umana è merce di scambio, bisogna scoprirsi adulti troppo in fretta per governare la strada, in una mano una crostatina per la colazione, nell’altra una pistola. La fanciullezza sopravvive a brandelli, l’età violenta comincia presto.

Giovannesi costruisce un racconto morale, che segna la difficoltà di una crescita, il crollo del confine tra giusto e sbagliato. Condannare sarebbe un’azione ipocrita, perché il primo fallimento è quello della società, che ha tolto la speranza e distorto i valori, ha messo "l’onore” al posto dei sentimenti. I sogni dell’infanzia s’infrangono in un universo tribale, dove si danza attorno al fuoco con la faccia sfigurata dai colori, e s’impone la legge del più forte. La macchina da presa si attacca a questi giovani, li stringe in lunghi primi piani, cattura la loro rabbia di stare al mondo, mentre sfrecciano sui loro motorini, mentre pensano di essere eroi, e stanno invece sull’orlo del baratro.

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La paranza dei bambini nasce dal romanzo omonimo di Roberto Saviano, anche sceneggiatore insieme a Giovannesi e a Maurizio Braucci. Il manifesto programmatico dell’opera lo si può trovare in una nota alla fine del libro. “Una delle sfide di questo romanzo è il dialetto. Non volevo il dialetto classico che è tuttora quello che, anche in termini di trascrizione, vige nelle opere dei poeti e degli scrittori dialettali. Ma al contempo volevo che di quella classicità ci fosse piena consapevolezza”. Ed è proprio da questa “classicità” che riparte Giovannesi. Appassionato nell’osservare i suoi personaggi sotto la luce calda di Daniele Ciprì, nel non dimenticare l’umanità quando tocca la disperazione. Unico film italiano in concorso al Festival di Berlino.

Il film uscirà nelle sale il 13 febbraio, distribuito da Vision