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La diseducazione di Cameron Post, il vincitore del Sundance alla Festa di Roma (recensione)

Uno schiaffo all'America puritana e ipocrita, la storia di un'adolescenza che difficilmente dimenticheremo

Moritz

25.10.2018 - Autore: Gian Luca Pisacane
Educazione/diseducazione. Si ragiona per opposti. Ai figli si cerca (quasi) sempre di trasmettere dei valori sani. Spesso sono principi imposti dalla società: casa, lavoro, famiglia… Ma quando sono i maestri i veri nemici? Quando si “ghettizza” invece di accettare? Allora si parla di “diseducazione”, di una progressiva perdita di umanità.

È la storia di Cameron Post, un’adolescente che i benpensanti dicono essere malata. Lei è lesbica, è attratta dalle donne invece che dagli uomini. I genitori non lo possono accettare, l’America puritana e ipocrita si ribella. Cameron deve essere curata. Come? In una comunità di recupero. La questione del gender si trasforma in una malattia. Per “guarire” bisogna odiare se stessi, rinnegare la propria natura, pentirsi. Credere in Dio è l’unica via per la redenzione, per tornare a essere “normali”. La preghiera porta alla disperazione, invece di dare conforto. È una religione al contrario, che tutti accettano. Paradossi, ambiguità, già descritte da un gigante come Fassbinder.

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Ma il cinema non si arrende. Continua a lottare per l’uguaglianza, per la libertà di pensiero. Lo faceva Barry Jenkins con Moonlight (racconto di formazione e molto di più), Sebastián Lelio con Una donna fantastica (storia di un transessuale respinto da tutti) e Disobedience (due realtà lontane che si attraggono), Joel Edgerton con Boy Erased (nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma). Come La diseducazione di Cameron Post.
 
Il film si rivolge alle nuove generazioni, strizzando l’occhio a qualche grande classico, come Qualcuno volò sul nido del cuculo. Ma forse lo stile è più vicino a quello di Breakfast Club, dove i giovani si trovano abbandonati con i loro problemi. Gli adulti non li capiscono, devono farsi forza l’un l’altro. Vengono i brividi quando la direttrice del centro chiede alla protagonista di rinnegare le proprie passioni. L’intolleranza, la discriminazione non passano solo dal colore della pelle.



Alla fine dei primi venti minuti, Cameron viene scoperta mentre amoreggia in macchina con una sua coetanea. “Che schifo”, urla la folla. Lei piange, si dispera. L’unico modo per risolvere il “problema” è allontanarla, dimenticare quello che è successo. Per un po’ i vicini continueranno a spettegolare, poi tornerà il silenzio. È la metafora di una gioventù perduta, di una crisi di coscienza sbagliata. Quali modelli seguire? A chi rivolgersi? Cameron non sa rispondere. Progressivamente deve mettere a nudo le proprie debolezze.

La fragilità dell’adolescenza irrompe sul grande schermo. La difficoltà di comunicare si mescola a quella di crescere. Un film che non fa sconti a nessuno, delicato, mai retorico, che cerca di essere un faro nell’oscurità. Regia sobria della newyorchese Desiree Akhavan e sceneggiatura solida. È tratto dal romanzo The Miseducation di Cameron Post di Emily M. Danforth e ha vinto il gran premio della giuria al Sundance Film Festival.

In arrivo il 31 ottobre, La diseducazione di Cameron Post è distribuito in Italia da Teodora.