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La critica su Big Eyes: evoluzione o fallimento per Tim Burton?

Il regista abbandona i blockbuster per un biopic intimo, ma forse ha anche scordato il suo stile

Big Eyes

17.11.2014 - Autore: Marco Triolo
Tim Burton si lascia alle spalle i recenti blockbuster per tornare a dipingere un ritratto intimo sullo sfondo di un'ambientazione d'epoca. Big Eyes, biopic di Margaret Keane, artista sfruttata dal marito sociopatico Walter Keane che faceva passare per suoi i dipinti di enorme successo della moglie, è scritto dal duo di sceneggiatori di Ed Wood, Scott Alexander e Larry Karaszewski, e la cosa si nota. Nel bene e nel male, perché la critica americana si è profondamente divisa sul risultato finale.

Big Eyes prende il nome dal soggetto dei dipinti della Keane, bambini con enormi occhi neri, per raccontare una storia di femminismo vincente: la donna, interpretata da Amy Adams, riuscì infatti a vincere una battaglia legale contro il marito (Christoph Waltz) in cui dimostrò di essere la vera autrice dei dipinti. “Big Eyes si presenta come un intelligente seguito tematico di Ed Wood”, scrive Todd McCarthy di The Hollywood Reporter, secondo cui il film “trasuda un piacevole ed eccentrico fascino dipingendo un preoccupante ritratto del predominio maschile e della sottomissione femminile mezzo secolo fa”. McCarthy loda anche gli attori, “entrambi brillanti in un'opera peculiare”. “Può Tim Burton evolversi?”, si chiede Inkoo Kang di The Wrap. La risposta è “Sì”, perché Big Eyes, “uno dei pochi film a trattare l'arte sia come commercio che come un pezzo del cuore del suo creatore”, “segna una piccola ma significativa crescita artistica”. “È rinfrescante vedere un crowd-pleaser femminista con la forza della correttezza morale dalla sua parte”. Eppure il film è “buono, non eccelso”. “La crociata di Margaret Keane contro il marito è puro, soddisfacente ottimismo filmico. Ma con Burton che mira più in alto di quanto abbia fatto da anni a questa parte, è un vero peccato che non si possa avere un po' più di sofisticatezza nel trionfalismo”.

E qui cominciano i dolori: “Gli occhi saranno pure lo specchio dell'anima, ma rivelano ben poco in Big Eyes, un racconto poco persuasivo e dozzinale della frode perpetrata da Walter Keane – scrive Justin Chang di Variety – Nonostante la toccante performance di Amy Adams […], questo relativamente diretto film drammatico di Tim Burton è concepito in maniera troppo generica per penetrare il mistero del matrimonio infelice dei Keane”. Non aiuta il fatto che "sia dominato da un Christoph Waltz eccentrico, quasi un orco, che tiene il film in ostaggio sempre di più”. “Questo biopic banale e maldestro – scrive Ryan Lattanzio di Thompson on Hollywood – ignora l'opportunità di criticare quell'ambiente dominato dagli uomini, spingendomi a chiedermi cosa abbia attirato Burton al soggetto, a parte gli inquietanti bambini dei quadri”.

Eric Kohn di IndieWire sintetizza perfettamente l'impressione mista della stampa americana: “Un dramma d'epoca dalle buone intenzioni ma decisamente minore, Big Eyes non è esattamente una catastrofe, ma il suo insipido ritratto di una storia affascinante, forse più adatta a un documentario, non dà alcuna prova che dietro la macchina da presa ci sia un regista così visionario”. Provaci ancora, Tim.