Big Eyes

Big Eyes

La vera storia di Margaret Keane e di suo marito Walter, i cui dipinti dei bambini dai grandi occhi divennero un vero e proprio fenomeno negli Stati Uniti tra il 1960 e il 1970. La mano d’artista era di Margaret, ma Walter fece credere al mondo di essere il vero autore dei quadri, conquistando una fama internazionale del tutto immeritata. I due finirono con il divorziare, arrivando ad una battaglia legale senza precedenti: un duello a colpi di pennello per ristabilire la giusta paternitÀ delle opere.

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Big Eyes
GENERE
NAZIONE
Stati Uniti
REGIA
CAST
DISTRIBUZIONE
Lucky Red
DURATA
105 min.
USCITA CINEMA
01/01/2015
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2014
di Alessia Laudati

All’interno del paradigma di stampo burtoniano È da sempre inserita una certezza quasi apocalittica; che i picchi stralunati raggiunti dalla fantasia, siano di gran lunga il mezzo piÙ divertente per raccontare i sogni degli uomini in carne e ossa. Come si comporta allora la surrealtÀ del regista americano quando incontra il genere biopic per giunta coniugato al femminile? Resiste all’impatto con il reale ma vince in maniera completa solamente la difficile narrazione della psicologia muliebre.
 
É infatti con una certa fatica e semplificazione che Big Eyes si ritrova a narrare la storia di Margaret Keane (Amy Adams), pittrice ancora in vita che per anni fu costretta a nascondere la propria identitÀ di artista e creatrice di opere di successo in favore del marito Walter (Christoph Waltz).
 
Sono il rapporto controverso di Margaret con il marito oppressore ma garante dello schema patriarcale vigente all’epoca, e la forte liaison al femminile che lega la protagonista alla figlia, a colorarsi del tratto piÙ reale e originale presente in Big Eyes. Tim Burton si concentra sullo shangai delle relazioni familiari per trovare la propria anima stralunata e filantropa. Il regista dimostra ancora una volta di conoscere la mappa interiore della diversitÀ, trasformando il personaggio di Margaret in un concentrato di sensazioni interiori e nello specchio di una societÀ dove la donna aveva poche possibilitÀ di autonomia e liberazione, anche di fronte a un matrimonio sbagliato.
 
Dall’altra parte il tentativo di restituire realtÀ alla storia dei Keane inceppa spesso in una mano eccessivamente didascalica, in un’ironia tiepida, che fa procedere la storia dal punto di vista cronologico ma non regala nulla di sorprendente all’umanitÀ dei personaggi. In questa rete troppo stretta rimane impigliato anche l’estro di Christoph Waltz, incisivo come sempre, ma poco a suo agio nel carattere dell’imprenditore senza scrupoli dal doppio volto.