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La belle époque: Westworld incontra Amarcord nella commedia con Daniel Auteuil (recensione)

Una toccante e romantica commedia che torna indietro nel tempo per esaminare il potere dei ricordi

La belle epoque

06.11.2019 - Autore: Marco Triolo
Ritrovare il passato per riacquistare un futuro. Alla sua opera seconda, Nicolas Bedos intraprende un viaggio nel tempo, ma senza utilizzare diavolerie fantascientifiche. La belle époque si configura invece come un viaggio nella memoria che utilizza una premessa high concept e meta-cinematografica per entrare nel profondo dell'animo umano.
 
Daniel Auteuil interpreta Victor Drumond, un disegnatore di fumetti che non riesce ad adattarsi alla modernità. Victor rifiuta la tecnologia, non capisce il lavoro del figlio (che produce una serie streaming) e critica qualsiasi cosa gli stia attorno. Una sera, dopo una cena in famiglia, un litigio con la moglie Marianne (Fanny Ardant) è l'ultima goccia: Victor viene sbattuto fuori casa e costretto ad affrontare le sue mancanze. Solo che, anziché guardarsi avanti, decide di affidarsi al servizio di un amico del figlio (Guillaume Canet) che organizza “viaggi nel tempo”, accurate ricostruzioni d'epoca fatte di set, costumi e un cast di attori, in cui immergersi per dimenticare il presente. Victor sceglie di tornare a una sera del 1974, quando, a Lione, incontrò l'amore della sua vita. Come prevedibile, tornare indietro gli servirà per rimettere tutto in prospettiva e guardarsi avanti. Un viaggio di riconciliazione con il mondo, il presente e, ovviamente, la tecnologia.

 
Parte maluccio il film di Bedos, con una sequenza in cui il regista indulge in uno dei difetti di certo cinema francese moderno, quello di dover sottolineare tutto quanto a parole. L'odio della modernità di Victor viene espresso nei minimi dettagli attraverso una serie di dialoghi in cui bisogna citare per forza tutto, dallo streaming agli smartphone. E quando finiscono le parole arrivano le immagini didascaliche, con Marianne che inforca un visore VR prima di dormire.
 
Poi, per fortuna, il regista si lascia alle spalle gli sproloqui e trova una sua cifra originale, pur muovendosi senza scossoni sui saldi binari della commedia romantica e del viaggio di riscoperta personale. Bedos riesce a mescolare una serie di immaginari che potrebbero sembrare agli antipodi. Pare di trovarsi a un ideale e bizzarro crocicchio tra Westworld, The Truman Show e Amarcord. Come nel film di Fellini, Bedos cerca di rappresentare la selettività dei ricordi, che eliminano alcuni elementi e ne accentuano altri. Laddove, però, Fellini mescolava realtà e smaccata finzione in un amalgama sopra le righe, Bedos sceglie di contestualizzare in maniera più rigorosa usando la premessa della ricostruzione d'epoca per distinguere tra realtà e fantasia. Siamo pur sempre all'interno di un film commerciale che deve essere comprensibile a tutti.

 
Tutto quanto è ancorato dalla performance di un Auteuil in gran forma, che dà spessore a un personaggio complesso e sfaccettato. Victor è antipatico, eppure la sua voce e le sue movenze impacciate evocano una tenerezza riflessa anche dal suo sguardo. Non ci si mette molto a calarsi nei suoi panni, in un'odissea umana che tocca corde anche profonde, parlando di nostalgia e di quanto essa sia sopravvalutata. I ricordi sono preziosi, ma sono invariabilmente corrotti dalla memoria emotiva. Il passato, in quanto luogo cristallizzato nel tempo, è pura illusione. La nostra vita è un eterno presente, ed è su questo che dobbiamo lavorare se vogliamo vivere davvero.
 
La belle époque è distribuito in Italia da I Wonder Pictures.