
Anche perché tanto la pièce quanto il film (e molti altri analoghi con lui) devono molto - tutto? - a un testo comune di riferimento, quel Il mondo incantato di Bruno Bettelheim che resta un importante riferimento per il genere e nel trattamento delle favole tradizionali. Cappuccetto Rosso, Jack e il fagiolo magico, Raperonzolo e Cenerentola si mescolano, quindi, in un racconto che le supera e che offre allo spettatore spunti di riflessione interessanti e dubbi che spesso non vengono evidenziati.

Tra la ben nota sindrome di Stoccolma di Raperonzolo e il cinismo di Cappuccetto Rosso (mostrata quasi vittima di violenza) o la ammissione di superficialità del Principe è probabilmente il lupo di Johnny Depp il carattere più debole sullo schermo, ma certo nessuno può sperare di rubare la scena a una Meryl Streep tanto in forma. E all'apparizione - qui e lì - di una pedagogia molto moderna, che ombreggia pulsioni decisamente adulte in personaggi lontani dall'età giusta o in ruoli che tradizionalmente non dovrebbero prevederne (anche se molti sottintesi saranno difficili da rendere nella traduzione del testo) e mette al centro di tutto l'autocoscienza e la consapevolezza di sé e dei propri desideri e paure. Da parte di tutti. La paura di lasciare il nido o di separarsi, i sacrifici consentiti e imposti per evitare di confrontarcisi, una emancipazione che passa da abbandono e pericolo, come è normale che sia… e il piacere di cederle, anche solo per provare, per scoprire qualcosa di nuovo, di diverso, non necessariamente migliore, a costo di accorgersene troppo tardi. Cresciuti.

Nessuno scudo, d'altronde può proteggere da questo, nemmeno l'amore, nemmeno la magia, nemmeno la favola. E non sia la favola a ignorare debolezze e meschinità dei nostri eroi, sempre più simili a noi, umanizzati e resi - dopo un naturale disappunto - più comprensibili nel loro bisogno di amore, di sicurezza, di conferme più che modelli di Bene e Male assoluti. Che non esistono nella vita, e nemmeno 'Into the Woods', dove davvero "nessuno sa cosa potremo aspettarci". Così, in fondo, si cresce, sviluppando immaginazione e apertura e imparando anche a desiderare, insegnare agli altri, trasmettere.
E così in un alternarsi di situazioni da sitcom e da operetta, che la regia non emerga come in altri casi e che la rappresentazione non sia arricchita di effetti o trovate - gigantessa (per quanto in ombra) esclusa - sono, volute o meno, scelte coerenti con la volontà di restare legati all'origine teatrale della storia. Scelte che pagano. Sia per la qualità dei numeri musicali, sia per la omogeneità della rappresentazione nella quale i temi finiscono per essere il quid da lasciar risaltare, anche su miti della nostra infanzia e sulle immagini che spontaneamente riaffiorano alla memoria semplicemente riconoscendoli sullo schermo. Un peccato - una incoerenza a volercela vedere - semmai che alcune eccezioni, per quanto riconosciute, finiscano poi per venire di fatto ignorate in una conclusiva esaltazione della mediocrità un po' qualunquista.
Into the Woods, in sala dal 2 aprile 2015, è distribuito da The Walt Disney Company
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