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Il signor Diavolo, la recensione del nuovo horror di Pupi Avati

Tratto dall'ominomo romanzo, il regista torna al gotico padano, in una storia di demoni e acquasanta

Pupi Avati

23.07.2019 - Autore: Gian Luca Pisacane
Horror all’italiana, gotico padano o meglio veneziano. L’idillio della campagna si trasforma in un incubo, dove la superstizione si mescola con la realtà. Difficile trovare un cinema come quello di Pupi Avati, specialmente nel 2019. Il suo è un lavoro certosino sulle atmosfere, le azioni quasi restano in secondo piano. Il terrore è qualcosa che nasce dal conformismo, dalle istituzioni che impongono il loro modo di pensare. Tutto il resto è “deforme”, maligno.

Satana vive lontano dalle grandi città. Per un produttore, nel 1970, l’uomo di Satana era Balsamus, un nano, un toccasana per vergini bollenti e mogli insoddisfatte. Satana era sinonimo di libertinismo, si manifestava vicino ai perdenti (come anche nelle sedute spiritiche di Thomas, gli indemoniati). Ieri come oggi. Il protagonista de Il signor Diavolo è un inetto, un impiegato del Ministero bistrattato da tutti. I sogni si infrangono contro una dimensione rurale, volutamente spenta, dove anche i colori hanno smesso di brillare.



Si seguono le orme dell’ignaro restauratore de La casa dalle finestre che ridono, dello scrittore troppo curioso di Zeder. Si chiude una trilogia, in cui potrebbe anche rientrare L’arcano incantatore, ambientato però nel Settecento. Avati conduce la sua indagine spirituale per comprendere il quotidiano, lavora sul reale per poi trasformarlo in una favola nera. L’orrore è una questione sociale, il punto di non ritorno di chi viene manipolato.

In Il signor Diavolo le vittime sono i contadini in balia delle decisioni dei potenti, con la Democrazia Cristiana (siamo nel 1952) che cerca di mantenere i consensi per le elezioni. E la dicitura “Cristiana” si scontra con la tenebra, con l’idea di una Chiesa che non è in grado (o non vuole?) combattere il demonio. Forse i preti e le suore spaventano il regista, che li ritrae quasi sempre come personaggi oscuri, entità mefitiche, più vicine al Male che all’acquasanta.

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Qui addirittura alcuni li accusano di aver plagiato un bambino, di aver alimentato strane dicerie che hanno portato alla tragedia. Sarebbe sbagliato parlare di fantasmi, il nemico si vede, agisce alla luce del giorno. Ma non è solo la paura a muovere Il signor Diavolo. C’è anche un’anima romantica, quella della scoperta del corpo femminile, dell’amicizia, della difficoltà di elaborare un lutto. E forse il punto di partenza del film, la sequenza in cui un neonato viene sbranato, è solo un altro modo per rappresentare la perdita dell’innocenza.

Peccato per i molti rallenty esasperati, per la voglia di enfatizzare i gesti a tutti i costi. E per una storia d’amore mancata, a distanza, che non riesce ad amalgamarsi con il resto della narrazione. Effetti speciali di Sergio Stivaletti (insuperabile anche nell’epoca in cui domina la computer grafica). Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Pupi Avati, ma qui ci saranno delle sorprese anche per i lettori più accaniti. 

Il film uscirà nelle sale il 22 agosto distribuito da 01