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I villeggianti, cronaca di un'autobiografia immaginaria firmata Valeria Bruni Tedeschi (recensione)

Metacinema e invisibilità. Il nuovo film dell'attrice e regista, ambientato in un castello sulla riviera francese, segue un gruppo di "vacanzieri" che si riunisce da anni. 

Valeria Bruni Tedeschi

01.03.2019 - Autore: Gian Luca Pisacane
Suggestioni autobiografiche in una commedia sofisticata. Valeria Bruni Tedeschi è la prima a mettersi in discussione: si siede davanti ai “produttori”, cerca di spiegar loro la bontà del film. A quel tavolo, la ascolta anche un placido Frederick Wiseman, il re del documentario. In qualche modo si confronta con i maestri, che le dicono di modificare la sceneggiatura. “È debole, bisogna lavorarci”. Così Bruni Tedeschi si rifugia in un castello sulla riviera francese per elaborare la fine di una relazione (con Louis Garrel nella realtà, con Riccardo Scamarcio nella storia), per osservare lo scorrere di un’estate.



I villeggianti vanno e vengono, si incontrano/scontrano, passano notti di fuoco, rimpiangono la giovinezza perduta. Sono “invisibili” l’uno all’altro. Bevono insieme, mangiano insieme, ma ognuno dà sfogo al suo egoismo, senza ascoltare. A casa tutti bene? Per niente. L’età avanza, in molti hanno perso qualcuno, e le vacanze scorrono tra frecciate e litigi.

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Per risolvere gli screzi, si canta attorno al pianoforte nel salotto (come insegna Gabriele Muccino), ma qui non si alza mai la voce. Ci si nasconde per non essere giudicati, si attacca per sentirsi superiori. Il ritmo è quieto, gli scossoni ci sono all’arrivo dell’amante interpretato da Scamarcio. Incarna la passione irraggiungibile, il sentimento che non si spegne, catturato dai movimenti lenti della macchina da presa. L’alta borghesia si fonde con una dimensione onirica. I morti tornano dall’aldilà per bacchettare i vivi, richiamano un’antica sincerità delle emozioni. I protagonisti pensano al proprio tornaconto, si crogiolano nei privilegi della ricchezza, mentre si scagliano contro chi ha meno. Una sorta di lotta di classe all’acqua di rose, dove la vera sfida è mettere a tacere i rimpianti.



Tutti sono attori o attrici, immersi nel proprio ruolo, isolati dal resto del mondo. Più volte si richiama la finzione scenica, e il cinema si rivolge a se stesso (il modello è Effetto Notte, o magari L’ultimo metrò). Al telegiornale si parla del terrorismo, della morte che avanza, e loro non si scompongono. Si immergono nel loro piatto di pasta, si esprimono attraverso luoghi comuni.

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L’impostazione de I villeggianti è quella di un’opera di Cechov: Il gabbiano. I temi erano l’amore, l’arte, il teatro nel teatro e naturalmente il gabbiano, simbolo della libertà di chi scrive o dirige, ma che può essere abbattuto in qualsiasi momento da un colpo di fucile. Anna, interpretata da Bruni Tedeschi, è il gabbiano, in balia degli eventi, non più parte attiva, ma quasi testimone della sua “sfortuna”. Si ride, a denti stretti, e c’è anche spazio per un po’ di grottesco. Presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Venezia. I villeggianti era anche un dramma realizzato da Maksim Gor'kij nel 1904.

Il film uscirà nelle sale il 7 marzo distribuito da Lucky Red.