NOTIZIE

High-Rise – La recensione da Torino

Tom Hiddleston in un kolossal britannico che esplora la furia animale dell'uomo in una storia di fantascienza distopica

High-Rise

23.11.2015 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
Negli anni '70, la distopia toccò il suo apice attraverso una serie di opere cinematografiche e letterarie tra cui Il condominio, romanzo di J.G. Ballard che ora è diventato film grazie al regista britannico Ben Wheatley. High-Rise, saggiamente, mantiene l'ambientazione d'epoca – costumi sgargianti, pantaloni a zampa, basette e baffi abbonano – per sottolineare come la storia raccontata sia ancora attualissima nonostante siano passati quarant'anni. Quarant'anni in cui il consumismo e il capitalismo hanno prosperato e si sono espansi a macchia d'olio anche in quei paesi che, nel 1975, ne erano acerrimi nemici.

Eccoci dunque in questo 2015, in cui la storia di un gruppo di inquilini imprigionati in un avveniristico palazzo di quaranta piani, dai più bassi e “proletari” ai più alti e lussuosi, si fanno guerra distruggendo tutto e stabilendo nuovi ordini sociali, diventa spaventosamente contemporanea. Nel palazzo, progettato da un architetto geniale (Jeremy Irons) c'è tutto: abitazioni, palestre, supermarket, piscine. Più che un edificio è, abbastanza ovviamente, una rappresentazione del mondo intero, diviso nettamente in classi, in cui è possibile spendere tutta la propria vita senza mai mettere il naso fuori.

Veniamo introdotti in questo universo autarchico tramite il punto di vista di Robert Laing (Tom Hiddleston), un medico che si è trasferito lì da poco. Al suo arrivo l'atmosfera è già tesa, surreale, ma a un certo punto le cose sfuggono di mano: manca l'elettricità e inizia la caduta verso la neo-barbarie. Le risorse scarseggiano, la gente perde il controllo e inizia a depredare, a lottare per le scorte, mossa da un sempre più acceso odio di classe.

Il film che si sviluppa da queste premesse è una discesa nel caos e nella violenza ben servita da una regia altrettanto violenta. I set eccelsi si deteriorano sempre di più, fungendo da proiezione delle psicologie logore dei personaggi. Wheatley, in sostanza, ha l'idea giusta: spiegare poco, addirittura liquidare, con rapidi montaggi, passaggi narrativi che in altre sedi sarebbero ritenuti fondamentali; e lasciare il resto alla messa in scena. Perché le immagini sanno dire molto più di tante chiacchiere inutili.

Il cast è eccellente: Tom Hiddleston è ormai una star lanciata e in pieno controllo delle sue capacità. Luke Evans suda, strepita e sanguina nei panni dell'elemento imprevedibile che fa muovere la storia con atti di violenza. E poi Sienna Miller, sensualissima, i glaciali Jeremy Irons e James Purefoy e la sempre calorosa Elisabeth Moss, unica figura realmente “umana” del gruppo.

Non mancano difetti: alla lunga, il racconto si fa a tratti confuso e, in netto contrasto con quanto detto finora, didascalico. Wheatley sembra perdere il controllo sull'ordine come i suoi personaggi. Ma poi recupera nel finale, chiudendo con una costatazione agghiacciante: l'uomo era un animale, e un animale tornerà. Nonostante tutti i sogni di un futuro sicuro e ordinato.