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Halloween - La notte delle streghe torna al cinema, ecco perché non perderlo

Uno dei pilastri dell'horror targato John Carpenter. Dal 1978 a oggi. I quarant'anni di un'opera immortale

Carpenter

15.10.2018 - Autore: Gian Luca Pisacane
“The evil is gone”. Il male è scappato dalla sua prigione, si aggira tra noi. Lo sussurra, sbarrando gli occhi, un medico dell’ospedale psichiatrico. L’incubo di Halloween – La notte delle streghe sta per iniziare. Il film rappresenta ormai una delle vette del cinema di John Carpenter, e ha segnato intere generazioni. L’idea, non nuova ma sempre efficace, è di raccontare alcuni momenti “in soggettiva”: lo sguardo dello spettatore si fonde con il punto di vista dell’assassino, e sveglia l’incubo della follia che potrebbe annidarsi anche nella nostra mente.

Carpenter vuole farci credere che il male ha un corpo e spesso anche una voce, come in Grosso guaio a Chinatown, che esista davvero un “demonio” che massacra senza motivo. “I suoi occhi sono come quelli del diavolo”, spiega lo psichiatra. Nessuno però lo ha mai visto in faccia. Si nasconde dietro una maschera, è un’entità aliena (Essi vivono); assedia una stazione di polizia in disarmo (Distretto 13 – Le brigate della morte), spunta dal ghiaccio in un centro ricerche in Antartide (La cosa), compare all’improvviso in una cittadina di provincia, come in Halloween – La notte delle streghe. Non c’è scampo.



L’unica soluzione è immergersi nel suo stesso fango, accettare la sfida, come Jena Plissken in 1997: Fuga da New York. Anche se alla fine non ci sono vincitori, e bisogna confrontarsi con il crollo di ogni convivenza (la trilogia dell’Apocalisse: La cosa, Il signore del male e Il seme della follia).

Halloween – La notte delle streghe è una storia di violenza, uno slasher, che si ispira anche al glorioso Mario Bava, creatore a basso costo di thriller nostrani mozzafiato. Qui le vittime del killer sono le nuove generazioni, quelle che rifiutano la morale corrente. I giovani vogliono soprattutto divertirsi, e aspettano di essere soli per dare sfogo alle loro intemperanze. Ed è a quel punto che Michael Myers (uno degli squilibrati più famosi di sempre sul grande schermo) colpisce, come se fosse il giustiziere di una società perbenista.



Quando il film uscì in prima visione era il 1978, e l’America stava ancora cercando di ricostruirsi la faccia dopo il disastro in Vietnam. Myers incarna lo spirito di quell’epoca, è l’emblema di un cambiamento che avrebbe coinvolto il decennio a venire. Ma Carpenter non è un sociologo. Il suo terreno è il sovrannaturale, la dimensione onirica, tutto ciò che spinge l’uomo verso un altro mondo. La luce nei suoi film è fioca, preferisce la notte, le apparizioni misteriose. E’ un maestro nel costruire la suspense senza accelerare il ritmo delle immagini, ma con movimenti di macchina a volte inavvertibili. In Halloween la tensione più forte nasce dall’immagine di Myers che spia fuori da una finestra. Lui si cela dietro i cespugli, scruta le persone aggirandosi alle loro spalle, come una presenza quasi incorporea. Nel silenzio è il suo respiro a riempire l’atmosfera, e il pubblico viene immerso in un terrore primordiale a cui non si può sottrarre.

La colonna sonora ci accompagna in un viaggio all’inferno. Poche note: un pianoforte e un sintetizzatore, per costruire il tema principale, composto dallo stesso Carpenter. Rimandi a Profondo rosso, alla musica dei Goblin. E poi lunghi piani sequenza, ellissi temporali, montaggio spericolato. Il trionfo del cinema indipendente, senza tempo, che compie quarant’anni e torna in sala per tre giorni: 15, 16 e 17 ottobre. Immortale.

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