Co-produzione internazionale e
cast di tutto riguardo per il ritorno del nostro “artigiano dell’horror”
Lamberto Bava dietro la macchina da presa. Purtroppo tutto il materiale messo
avuto a disposizione non è bastato al cineasta per confezionare un
lungometraggio interessante, che ha il primo e più grave difetto nel fatto che
proprio non riesce a far paura. L’errore alla base della produzione, e quindi
prima di essa nella sceneggiatura, è che l’anima della pellicola non è quella
di un horror, bensì di un melodramma che si muove anche sul binario del
sovrannaturale. Tanto per intenderci, si tratta in un certo senso della stessa
mancanza di fondo che ha l’ultimo cinema dell’orrore asiatico.
La storia, scritta dallo stesso
Bava insieme alla new entry Silvia Ranfagni, si infogna ben presto in una
sequenza di lungaggini piuttosto ripetitive, e quando deve passare dai toni
melanconici a quelli più spaventosi non riesce a catalizzare l’attenzione e la
tensione dello spettatore. Da parte sua il regista dirige il tutto senza la
verve che ne aveva contraddistinto lavori apprezzabili come ad esempio l’ormai
mitico “Demoni” (id., 1985).
L’unico pregio che si può attribuire a “Ghost Son”
è che in alcuni momenti riesce a restituirci la bellezza ed il fascino dei
setting naturali in cui è stato girato: per il resto però il film non incide
mai, non possiede nessuna originalità sia narrativa che estetica, e non è
neppure capace di sfruttare le potenzialità di una messa in scena che sembra
comunque volutamente artigianale – vedi ad esempio la semplicità quasi retrò
degli effetti speciali.
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Ghost son
Co-produzione internazionale e cast di tutto riguardo per il ritorno del nostro "artigiano dell'horror" Lamberto Bava dietro la macchina da presa
01.06.2007 - Autore: Adriano Ercolani