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Ghost son

Co-produzione internazionale e cast di tutto riguardo per il ritorno del nostro "artigiano dell'horror" Lamberto Bava dietro la macchina da presa

Ghost Son

01.06.2007 - Autore: Adriano Ercolani
      Co-produzione internazionale e cast di tutto riguardo per il ritorno del nostro “artigiano dell’horror” Lamberto Bava dietro la macchina da presa. Purtroppo tutto il materiale messo avuto a disposizione non è bastato al cineasta per confezionare un lungometraggio interessante, che ha il primo e più grave difetto nel fatto che proprio non riesce a far paura. L’errore alla base della produzione, e quindi prima di essa nella sceneggiatura, è che l’anima della pellicola non è quella di un horror, bensì di un melodramma che si muove anche sul binario del sovrannaturale. Tanto per intenderci, si tratta in un certo senso della stessa mancanza di fondo che ha l’ultimo cinema dell’orrore asiatico.

  La storia, scritta dallo stesso Bava insieme alla new entry Silvia Ranfagni, si infogna ben presto in una sequenza di lungaggini piuttosto ripetitive, e quando deve passare dai toni melanconici a quelli più spaventosi non riesce a catalizzare l’attenzione e la tensione dello spettatore. Da parte sua il regista dirige il tutto senza la verve che ne aveva contraddistinto lavori apprezzabili come ad esempio l’ormai mitico “Demoni” (id., 1985).

L’unico pregio che si può attribuire a “Ghost Son” è che in alcuni momenti riesce a restituirci la bellezza ed il fascino dei setting naturali in cui è stato girato: per il resto però il film non incide mai, non possiede nessuna originalità sia narrativa che estetica, e non è neppure capace di sfruttare le potenzialità di una messa in scena che sembra comunque volutamente artigianale – vedi ad esempio la semplicità quasi retrò degli effetti speciali.

 

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