Ghost Son
Stacey e Mark vivono in una fattoria e sono molto felici e innamorati. Purtroppo, Mark muore e Stacey, in mezzo a quelle pianure sconfinate, rimane sola anche se allo stesso tempo è consapevole del fatto che lui non l'ha completamente abbandonata. Una notte, Stacey sogna di fare ancora una volta l'amore con Mark e poco tempo dopo scopre di essere incinta..
Trasferitasi in una fattoria per amore del suo Mark (John Hannah), la bella Stacey (Laura Harring) non arriva a comprendere fino in fondo le usanze e le superstizioni dei nativi del luogo. A trattenerla in quel posto misterioso e selvaggio è la passione per il suo uomo, che però muore tragicamente in un incidente stradale. Decisa a continuare il lavoro di Mark, la donna scopre anche di essere incinta: purtroppo strani ed inquietanti avvenimenti iniziano ad accadere dopo che il bambino è nato; Stacey si troverà così a combattere una forza venuta dall'oscurità, decisa a sfruttare suo figlio per tornare nel mondo dei vivi…
Co-produzione internazionale e cast di tutto riguardo per il ritorno del nostro “artigiano dell'horror” Lamberto Bava dietro la macchina da presa. Purtroppo tutto il materiale messo avuto a disposizione non è bastato al cineasta per confezionare un lungometraggio interessante, che ha il primo e più grave difetto nel fatto che proprio non riesce a far paura. L'errore alla base della produzione, e quindi prima di essa nella sceneggiatura, è che l'anima della pellicola non è quella di un horror, bensì di un melodramma che si muove anche sul binario del sovrannaturale. Tanto per intenderci, si tratta in un certo senso della stessa mancanza di fondo che ha l'ultimo cinema dell'orrore asiatico.
La storia, scritta dallo stesso Bava insieme alla new entry Silvia Ranfagni, si infogna ben presto in una sequenza di lungaggini piuttosto ripetitive, e quando deve passare dai toni melanconici a quelli più spaventosi non riesce a catalizzare l'attenzione e la tensione dello spettatore. Da parte sua il regista dirige il tutto senza la verve che ne aveva contraddistinto lavori apprezzabili come ad esempio l'ormai mitico “Demoni” (id., 1985).
L'unico pregio che si può attribuire a “Ghost Son” è che in alcuni momenti riesce a restituirci la bellezza ed il fascino dei setting naturali in cui è stato girato: per il resto però il film non incide mai, non possiede nessuna originalità sia narrativa che estetica, e non è neppure capace di sfruttare le potenzialità di una messa in scena che sembra comunque volutamente artigianale – vedi ad esempio la semplicità quasi retrò degli effetti speciali.
Anche il nutrito cast di attori di primo livello non convince mai: se Laura Harring sta tristemente dimostrando arte dopo parte che l'exploit del film di Lynch è stata l'eccezione invece della regola, la vera delusione viene dallo sbiadito Postlethwaite e soprattutto da John Hannah, simpatico guascone completamente inadatto al ruolo.
Alla fine di “Ghost Son” rimane da salvare poco o nulla: spacciare questa pellicola inerme come horror dimostra ancora una volta la precarietà di questo genere, che sta davvero attraversando una crisi interna sia estetica che di significazioni.