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Gemini Man, il nuovo film di Ang Lee scatena due Will Smith al prezzo di uno (recensione)

Miracolo tecnologico che sarà apprezzato da pochi. Un "Hulk" a 120 fps che avrebbe avuto bisogno di ben altro nitore

27.09.2019 - Autore: Gian Luca Pisacane
Cinema di confine, di sperimentazione. Ang Lee oltre il limite, ancora una volta. Per ridisegnare nuovi spazi, scoprire luoghi inesplorati. Un regista che trova la sua magia lontano dalle grandi città (al massimo le distrugge, come in Hulk). Preferisce i boschi de I segreti di Brokeback Mountain, il mare aperto de La vita di Pi, il campo di battaglia di Bill Lynn – Un giorno da eroe. Costruisce la catarsi dove l’uomo incontra la solitudine (La tigre e il dragone, Lussuria).



Negli ultimi anni, come Soderbergh (con le dovute differenze), Lee ha provato a far brillare i suoi film attraverso la tecnologia. Immagini velocizzate, ultranitide, a 120 fotogrammi al secondo. Lo aveva già fatto con il sottovalutato Bill Lynn, forse una delle migliori riflessioni sulla politica americana di questo decennio. L’esercito, la propaganda, la patria che sfrutta, mostra, rimastica i suoi soldati e poi li respinge.

Anche in Gemini Man Lee prova a riproporre la fine del patriottismo, lo schianto della lealtà. Con una costruzione della storia che richiama proprio il suo “omaccione” verde: Hulk. Il difficile rapporto tra padre e figlio, la scienza, la genetica, la nazione che volta le spalle a chi le ha consacrato l’esistenza. Quello di Lee è un mondo avido, narcisista, che insegue la perfezione schiacciando i più deboli.

Tutto questo narrato in 3D Plus, con i mitici 120 fotogrammi al secondo di Billy Lynn, ma purtroppo pochissime sale in Italia (circa cento) riusciranno a proiettarlo in questa versione. Per i più bisognerà accontentarsi delle classiche 2 dimensioni. Ma senza la meraviglia tecnologica, Gemini Man crolla. Il luna park di effetti speciali si spegne, e resta una sceneggiatura quasi “maledetta”, che a Hollywood nessuno voleva fare. Dagli anni Novanta a oggi. Forse perché ormai fuori tempo massimo, forse perché di demolition man ormai è pieno l’immaginario. Le vecchie generazioni formato Stallone provano a resistere, le nuove vestono il mantello dei supereroi, Tom Cruise è tra i pochi inossidabili.

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Qui Will Smith si trova a metà strada. Prova a rilanciarsi come action man dopo Bright Suicide Squad. Interpreta il miglior cecchino del mondo, un vero American Sniper. Ma quando decide di andare in pensione cercano di ucciderlo, e deve risolvere una difficile crisi internazionale. Al suo fianco ha una fedele squadra in stile Mission: Impossible, capace di recuperare aerei e gadget quasi dal nulla. La storia si sviluppa come un enorme videogioco: arene sempre più difficili da superare, nemici molto coriacei, munizioni ridotte. Mentre non manca anche un certo spirito turistico, dalla Colombia a Budapest. Niente di nuovo, con il cinema d'azione contemporaneo che avrebbe bisogno di qualcosa in più. Si ragiona su canoni consolidati, dove si osa pochissimo.



Si va a spasso per i continenti, con Will Smith che sfida Will Smith. Il giovane contro il “vecchio”, l’originale contro il clone. Lee gioca con i volti, e segue lo stesso procedimento dell’attesissimo The Irishman di Scorsese: ingannare l’età. Smith si “sdoppia”, cambia nome, e con i miracoli della tecnica incarna anche se stesso da adolescente. Di memorabile c'è solo il primo incontro tra i due, per le strade di Cartagena. Lo stupore però cede troppo presto il passo alle botte da orbi, alle evoluzioni machiste. E anche la sequenza nelle catacombe di Budapest avrebbe potuto regalare qualche brivido in più. L’effetto è straniante, difficile da mettere a fuoco. Forse perché Lee ci ha abituati a un ben altro tipo di nitore.

Gemini Man uscirà nelle sale il 10 ottobre distribuito da 20th Century Fox.

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