NOTIZIE

Full Contact - La nostra recensione

Le ossessioni di un ex-pilota di droni in un viaggio surreale che riflette ampiamente sull'uso della tecnologia in campo bellico 

Full contact

22.10.2015 - Autore: Alessia Laudati (Nexta)
Un film onirico dove il registro surreale serve a mostrare l’alienazione di un pilota di droni e più in generale, l’effetto che la tecnologia e il suo uso sempre più massiccio, non solo in campo militare, sono in grado di produrre sugli esseri umani. Full Contact, dell’olandese David Verbeek, già presentato durante il Toronto International Film Festival e arrivato a Roma all’interno della Selezione Ufficiale della rassegna, parte infatti dalla descrizione della quotidianità di un pilota di droni, personaggio ambiguo, sofferente, solo in apparenza privo di senso di responsabilità per le azioni violente che commette, per rivolgere al pubblico una domanda maggiormente ampia.

Ovvero: cosa rimane del contatto umano nel nostro mondo iper-tecnologizzato e soprattutto, la distanza che l’utilizzo di software sofisticati produce inevitabilmente sugli schemi relazionali è davvero un fattore così positivo per l’esistenza umana? Insomma, in questo modo non ci stiamo forse imbarbarendo e perdendo quell’interazione umana necessaria a non trasformare il mondo in un essenziale ring sanguinolento dove a vincere è il più forte, o semplicemente il più digitalmente evoluto? Per rispondere a questa domanda il regista parte da un ambiente assolutamente estremo, quello prettamente bellico, per addentrarsi negli incubi del veterano Ivan (Gregoire Colin) e seguirlo dopo la fine del servizio mentre cerca di ritornare lentamente alla quotidianità.



Ed è un viaggio distorto tra ossessioni, paure, violenza e incapacità di chiudere con l’esperienza bellica nonostante la distanza fisica interposta tra i luoghi dell'azione militare e quelli più “civili” abitati invece corporalmente dal protagonista. In questo percorso, però, una sorta di incursione molto personale nella prospettiva di un reduce affetto da sindrome da stress post-traumatico, il film, pur essendo un racconto interessante, soffre a tratti di eccessiva disconnessione dal piano del reale. Certo, il registro scelto è dichiaratamente di tipo sensoriale, onirico, interiore, però il dramma di un uomo che nonostante non si trovi più a uccidere bersagli militari armato solamente di fucili soffre lo stesso di sensi di colpa, manie di persecuzione e costante senso del pericolo, a volte appare come una forzatura eccessiva sulle corde emotive dello spettatore, non riuscendo a fare il salto tra una prospettiva molto individuale e ristretta a un’esperienza piuttosto specifica, e la dimensione collettiva sulla quale per primo si propone di dire invece la propria. 
FILM E PERSONE