
L'Adam creato artificialmente dai coniugi Frankenstein - Carrie-Anne Moss e Danny Huston - si trova rapidamente a risolvere i suoi conflitti edipici, a scontrarsi con violenti pubblici ufficiali a cercare riposo in un Eden ritrovato e rigeneratore. Un 'non morto' al quale si risvegliano istinti di sopravvivenza, ma che soprattutto prova fame e sete. E che ancor più incredibilmente inizia a scoprirsi umano, o almeno, senza ammettere una coscienza eccessiva, a mostrare tratti che possiamo identificare come tali.
"Spaventato", "abbandonato", "indifeso", "disgraziato" si definisce l'Essere sullo schermo, in una delle prime accelerazioni del film. L'ostentazione è evidente, in generale, come anche nelle successive scene, volte - tra linciaggi e animalismo - a ribadire l'innocenza della cratura, capace di articolare solo le parole 'mamma', 'amore' e 'mostro'. E qui è il fulcro dell'opera di Rose, nella soggettività e variabilità dei parametri culturali e sociali che definiscono come tale il mostruoso, l'abominio, il diverso…

Inneschi che dovrebbero scatenare l'indignazione e le riflessioni (o magari il senso di colpa) dello spettatore medio, fin troppo evidenti, anche in un film dai mezzi limitati e dall'estetica indie. Certo, sulla carta tutto funziona. O funzionerebbe. Stante anche un eccesso di didascalismo sicuramente alla base del concept stesso. La recitazione di Xavier Samuel (The Twilight Saga: Eclipse) è inevitabilmente figlia di queste direttrici, che non fanno altro che colorare l'intero svolgimento rendendolo fastidiosamente verboso e pretenzioso.
Frankenstein, in sala dal 17 marzo, è distribuito da 20th Century Fox