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Frankenstein torna nei cinema, ma non chiamatelo Mostro!

Il regista Bernard Rose ai microfoni di Film.it: "Questa volta non sono gli umani a temere il mostro, si tratta invece dell'esatto opposto"

17.03.2016 - Autore: Pierpaolo Festa (Nexta)
In molti lo hanno chiamato "mostro", altre volte invece quel termine è stato bandito dal set - è il caso di Kenneth Branagh che chiamò il personaggio interpretato da Robert De Niro "la Creatura". Bernard Rose, invece, evita entrambi i termini, si limita a chiamarlo "il protagonista del mio nuovo film".

Il regista di Candyman torna sulle sponde dell'horror e sceglie il difficile compito di riadattare per l'ennesima volta Mary Shelley, modernizzando quella storia e facendo vagare il protagonista tornato in vita (l'attore australiano Xavier Samuel già visto nella Twilight Saga) in una Los Angeles molto diversa da quella che il cinema ci ha mostrato negli anni. "Non è più il posto in cui vengono girati tutti i grandi film - ci racconta Rose intercettato su Skype in collegamento dalla Città degli Angeli - Le mega-produzioni la disertano il più delle volte. Tutto ciò che è vecchio viene distrutto: una volta giravamo una scena del film in uno storico ponte della città, e adesso quel ponte non esiste più! Alcune zone storiche di Los Angeles a volte sono semi-abbandonate. E intanto ne nascono di nuove sono iper-popolate. Per questo era perfetta come ambientazione".  

 
Cosa la ha spinta a raccontare una versione contemporanea di Frankenstein? 
La risposta è Mary Shelley. Ha scritto un classico del diciannovesimo secolo, un libro che parla di paure e sogni e da questo punto di vista non c'è differenza tra oggi e duecento anni fa. 
 
Un libro che è stato portato sullo schermo decine e decine di volte, quanto ha sentito il peso dei film con Karloff e di tutto il resto della tradizione cinematografica di Frankenstein?
Credo che sia inevitabile pensare ai film di James Whale con Karloff. Ma ho cercato di ignorare tutto il resto, ad eccezione di Frankenstein Junior. di Mel Brooks.
 
Sarebbe stato il secondo titolo che le avrei menzionato. Sì è un cult demenziale ma rappresenta anche una delle colonne portanti sui film di Frankenstein.
Be' è come se fosse un terzo film di James Whale, un sequel. Posso dirti la verità? Preferisco Metropolis ai Frankenstein di Whale, mi piace ricordare quel robot donna costruito da Fritz Lang. Quello sì che è vicino al libro di Mary Shelley. Anzi, se prestiamo attenzione noteremo che lo stesso Whale ha copiato ogni inquadratura di Lang in Metropolis.  

 
Sta dicendo dunque che i film con Karloff tradiscono l'essenza del libro della Shelley.
Se da una parte quei film sono iconici è importante ricordare anche come abbiano distorto la percezione del libro. Oggi Frankenstein è sinonimo di zombie, di un esperimento messo insieme con dei cadaveri, una mostruosità di laboratorio che non funziona bene. Il libro non è questo però, Victor riesce a rianimare un corpo allo scopo di imparare la tecnica per riportare in vita i propri cari. E' un libro che parla più della vita che della morte.
 
E' anche una profonda storia horror...
Sì, horror e fantascienza. Se vogliamo possiamo definire Frankenstein il primo romanzo fantascientifico: la Shelley ha preceduto Jules Verne, è stata una pioniera del genere. Personalmente ho cercato di invertire i ruoli: non sono più gli umani a essere spaventati dal mostro, è l'esatto opposto. Il protagonista è spaventato dagli uomini. Sono loro che rappresentano l'orrore e sono pronti a farlo soffrire. 
 
Più il protagonista cerca di vivere tra gli uomini più ci mostra le sue cicatrici. Anzi, le cicatrici aumentano. Ce ne sono di nuove. In una scena del film lo vediamo torturato dall'LAPD. D'un tratto non siamo più nella fantascienza, ma ci ricordiamo di tanti casi accaduti negli USA in cui la polizia ha fatto abuso di potere, premendo il grilletto...
Be' è inevitabile coinvolgere la polizia. Se questa storia accadesse davvero sarebbero loro i primi ad affrontare il problema. Lo vedrebbero come potenziale minaccia, non come una persona. Nel film premono il grilletto contro di lui. Succede davvero nella realtà soprattutto perché tanti di questi nuovi poliziotti sono stati in guerra e sono tornati con la sindrome da stress post-traumatico. Ora premono il grilletto, senza pensarci. E' un problema serio in questo Paese. 

 
Di solito i film di Frankenstein mettono in risalto le scenografie, il suo film invece è composto da tanti primi piani, quasi come se avesse incollato la macchina da presa al volto dei suoi attori. Come mai questa scelta? 
Raccontiamo questa storia dal punto di vista del protagonista, ecco perché ho evitato scene in cui la macchina da presa ha un punto di vista oggettivo. Ci sono pochissimi  campi lunghi. Vediamo quello che vede lui. Stiamo sempre con lui. Ho guardato tanto La passione di Giovanna d'Arco di Dreyer prima di girare il film, un capolavoro del cinema muto incentrato sul processo alla protagonista. Il modo in cui la parola è assente è l'arma principale di quel film: capisci tutto proprio perché non vieni distratto dai discorsi. Ecco dunque un elemento a cui ho cercato di ispirarmi.  
 
Abbiamo parlato del "mostro", parliamo del suo creatore. In cosa differisce questo Victor Frankenstein rispetto agli altri visti sullo schermo?
Non solo dagli altri sullo schermo, ma è anche un po' diverso da quello del libro. E' stato uno dei vantaggi scattati dall'aver modernizzato questa storia: nel libro Victor è abbastanza piagnucoloso, vuole creare la vita e poi dice "cosa ho fatto!". Qui abbiamo un protagonista che invece pensa: "C'è un problema, dobbiamo risolverlo. Non siamo riusciti a creare una cosa per bene, allora sbarazziamocene. E facciamone un altro al più presto". Danny Huston mi dà la possibiltà di avere un personaggio arrogante e allo stesso tempo affascinante. E' questo il suo talento che abbiamo visto in tanti altri film. 


Frankenstein è attualmente nei cinema distribuito da Barter Entertainment. Scopri qui le sale in cui è proiettato