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Dirty pretty money. Si apre il festival di Berlino

Ecco la nostra recensione di "The International", una spy story alla "Syriana", ma con piu' ritmo. Protagonisti Clive Owen e Naomi Watts. È il film che ha aperto la Berlinale.

Dirty pretty money. Si apre il festival di Berlino

06.02.2009 - Autore: Andrea D'Addio
Interpol, banche svizzere, traffico d’armi,  guerre mediorientali e civili africane, Milano, Berlino, Istanbul, Lussemburgo, Lione,  New York. Insomma, non si può certo sostenere che il film di apertura qui al Festival di Berlino, “The International”, abbia badato al risparmio, sia in termini di budget che di spunti narrativi. Riprendendo quel mondo capitalistico nascosto agli occhi della gente normale, e che al cinema viene sempre piu’ raffigurato (e chi dice che non lo sia) come epicentro di tutti i mali, burattinaio di tutti i destini dell’umanità conscio del fatto che l’unico credo è il denaro, la spy story del tedesco Tom Tykwer (“Lola corre”, “Profumo”) scricchiola per plausibilità, ma recupera alla grande per ritmo e regia.

L’economia globalizzata ha reso vita difficile agli sceneggiatori. A meno che non si voglia intraprendere un approccio alla “Syriana”, in cui un tema dalle mille sfaccettature e conseguenze viene affrontato sotto diversi punti di vista, riuscire a raccontare  “le storie di una volta” - cioè quelle in cui anche un solo uomo, basta che sia minimamente intelligente e ci sappia fare con le armi, può cambiare il destino di un un Paese intero scombinando gli avidi piani dell’ennesimo gruppo di potere - risulta sempre inverosimile. Le tessere del malaffare sono talmente intrecciate tra loro che non si riesce mai distruggere l’intero mosaico. Succede quindi che per quanto si voglia credere a Clive Owen ed ai suoi nobili propositi, ai bei discorsi o all’idea che si possa arrivare al vertice di un sistema con la semplicità con cui accade nel film, il non “credere” è dietro l’angolo. Allo stesso modo, in un’epoca televisiva di ricostruzioni di scene del crimine perfette come “CSI” docet, appare troppo rudimentale un sistema di bacchette cave per capire da dove sia partito un colpo mortale. Incongruenze quindi, ma succede, non fermiamoci ai particolari.

Ciò non toglie infatti che il film di Tykwer si segua con interesse, che la tensione sia sostanzialmente alta per tutta la durata del film e ci siano da annotare alcune scene dal grande impatto visivo. Tykwer gestisce infatti al meglio gli spazi, riuscendo quasi sempre a tirare fuori il meglio da qualsiasi scena anche minimante concitata. Il cambio di prospettiva (da Naomi Watts a Owen) dal quale si assiste allo scontro di “lei” con l’automobile in fuga, o le varie angolazioni a piombo con cui anche elementi “quotidiani” come le automobili, ma anche la folla, fanno perdere di vista qualsiasi punto di riferimento, riescono a trasferire quel giusto senso di disorientamento che il protagonista vive in quelle fasi. Il meglio comunque Tykwer lo dà nella parte centrale del film. Dal lungo pedinamento del sicario alla magistrale sparatoria al Guggenheim, la suspense sale in maniera costante attraverso l’abile montaggio e al sapiente utilizzo di tutti gli elementi visivi e sonori che l’ambientazione metropolitana prima e istituzionale dopo, offre. Quanto a “per realizzare questo ho pensato a quest’altro”, i punti di riferimento registici di Tykwer sembrano essere “The Bourne Ultimatum" (gli sguardi in camera durante le scene al bazar di Istanbul richiamano quelli di Jason Bourne e la sua Waterloo station) e  “I figli degli uomini” (nel suo utilizzo del campo lungo) anche se luci e violenza delle immagini seguono i sentieri tradizionali del grande cinema mainstream americano.  

In “The International” c’é tanto da vedere. Soffermarsi su come l’Italia, in quelle poche scene in cui appare, viene rappresentata come una sorta di repubblica delle banane in cui il capo dei Carabinieri é corrotto e l’aspirante premier é un industriale (i cui figli sono pronti ad assumere un sicario) ai cui comizi si trovano bandierine come se si fosse allo stadio (per non parlare di come il suo nome Calvini, sia molto simile a Calvi), sarebbe sbagliato. Lo si dice per dovere di cronaca. O forse, per non pensarci.

La pellicola sarà distribuita in Italia dalla Sony a partire dal 20 marzo prossimo.

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