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Dior, l'erede Simons e il complesso edipico che non c'è

Da Tribeca a Firenze, Dior and I racconta l’esordio dell'ex direttore creativo di Jil Sander alla guida della maison parigina

Dior and I - Raf Simons

Dior and I - Raf Simons

01.12.2014 - Autore: Alessia Laudati
Christian, Raf, quest’ultimo di cognome fa Simons e il confronto necessario con uno dei padri della moda. Non siamo nel mondo della tragedia classica ma all'interno della storia del costume, dove la richiesta di figli talentuosi è più pressante che mai. Questa volta poi parliamo di un genitore illustre; Christian Dior, il designer dal peso monolitico che è riuscito in soli dieci anni di attività a creare sufficiente armonia per alimentare tutti i successi posteriori del brand omonimo. 
 
Il lavoro di Frédéric Tcheng, presentato al Festival dei Popoli in anteprima e differentemente da altri documentari che ruotano intorno alla narrazione della personalità dei grandi protagonisti del settore, si pone una sfida in più: quella di far dialogare il grande assente-presente, Monsieur C.D., con la figura del nuovo direttore creativo Raf Simons; qui alla prova della prima collezione haute couture della maison francese. 
 
A sfilare non sono il fermento e la sfida, entrambe fibrillazioni molto lontane dal carattere ermetico di Simons, ma un morbido gioco di analogie tra il carattere del nuovo direttore creativo e quello del padre fondatore. Il gioco è abbastanza noto. É il confronto tra tradizione e innovazione, tra passato e presente, tra personaggio pubblico e privato. 
 
Dior and I, tenta però di modificare la struttura piuttosto binaria della narrazione così concepita, per dare spazio a un’ossatura più leggera e chiaroscurale. Lo stilista "padre" dialoga con Raf Simons attraverso l’utilizzo di un voice over che interpreta i versi tratti dall’autobiografia ufficiale del designer francese. É un azzardo coraggioso che procede per sovrapposizioni e rimescolamenti e che tenta di spezzare l’alternanza binaria del semplice racconto sospeso tra ieri e oggi.

Tuttavia, nonostante lo sforzo, il processo è piuttosto ingessato, mentre il ritratto più vivido, il trait d’union che collega la tradizione della maison all’isteria della successiva sfilata, sono le parole dei lavoratori che popolano il ventre dell’atelier di Avenue Montaigne. Sarte e sarti, personaggi colorati dalle cui mani dorate, prendono vita gli animi autentici di un mestiere e di una narrazione, che lontana dalle immagini glamourizzate di Valentino: The Last Emperor e The September Issue, riportano al centro il lavoro e l’artigianalità del genio creativo.

Rimane infine la sfida dello specchio e la ricerca di un linguaggio nuovo per raccontare il mondo della moda. Il doppio è poco; prevalgono geometria della struttura e tono patinato di una maniera di raccontare la moda che sta lentamente diventando il cliché prediletto dai fashion film.