Lo stavamo aspettando tutti con enorme curiosità, eppure l'episodio di Black Mirror diretto da Jodie Foster, primo della quarta stagione, non è il miglior biglietto da visita possibile per il ritorno della serie di Charlie Brooker. Verrà salutato dal pubblico femminile come la concretizzazione delle paure materne più nascoste, e su questo non ci sono dubbi, ma purtroppo la realizzazione è banale, costruita su archetipi fantascientifici già visti. “Arkangel”, questo il titolo, racconta la genesi di un baby monitor piuttosto particolare: un impianto nel nervo ottico di una bambina permette a sua madre di vedere ciò che lei vede tramite un tablet. Col passare degli anni, ovviamente, questo controllo eccessivo porta a una ossessione materna che sfocerà in tragedia. Il guaio è che tutto è prevedibilissimo, pare scritto da un esordiente anziché da un autore che ormai mastica la fantascienza da anni. E da Black Mirror ci si aspetterebbe tutt'altro standard.
Ma, dato che stiamo parlando di una serie antologica in cui ogni puntata è un film a se stante, c'è ovviamente molto spazio di manovra. E già il secondo episodio, “USS Callister”, è decisamente più interessante. Inizia come un episodio della serie classica di Star Trek, con tanto di estetica anni '60 e formato 4:3. Poi però si evolve in un thriller sui pericoli della realtà virtuale con fortissimi elementi di commedia. Jesse Plemons interpreta un folle programmatore che clona virtualmente i colleghi di lavoro che odia (e quelli di cui si innamora), imprigionandoli in una simulazione che cita una vecchia serie TV di fantascienza. I cloni digitali conservano la memoria delle loro controparti di carne e ossa, e questo non ha il minimo senso. Eppure “USS Callister” se ne frega, giustamente, e procede sui binari dell'avventura e della commedia, affrontando temi più profondi come bullismo e libero arbitrio. Una boccata di aria fresca rispetto alle puntate più cupe della serie, che sta a dimostrare come la leggerezza di tocco possa essere altrettanto, se non più efficace dei toni dark auto-imposti.
Toni che invece pervadono e appesantiscono l'episodio seguente, “Crocodile” (diretto da John Hillcoat), in cui ancora una volta si parla di invenzioni capaci di rivelare ciò che una persona ha visto. In questo caso, una investigatrice assicurativa (Kiran Sonia Sawar) indaga su un incidente stradale utilizzando un apparecchio che può vedere i ricordi recenti di un testimone, e scopre ben più di quello che sperava. Andrea Riseborough interpreta una donna disposta a tutto pur di seppellire un terribile segreto, e l'episodio vira bruscamente verso una cupezza eccessiva. È come se Brooker si fosse imposto di scioccare a tutti i costi, finendo solamente per confezionare una parodia involontaria di Black Mirror. È tutto così assurdamente angosciante da far sembrare “Crocodile” un episodio scritto da un adolescente arrabbiato, chiuso nella sua cameretta.
Poi però accade qualcosa: il quarto episodio, “Hang the DJ”, risolleva le sorti della stagione, che si chiude con tre puntate davvero notevoli. Quest'ultima racconta una storia d'amore in un mondo distopico (di cui vale la pena non svelare nulla per non rovinare la sorpresa finale), mentre la seguente “Metalhead” (la migliore della stagione, diretta da David Slade) vira su scenari post-apocalittici mettendo in scena un lungo inseguimento (tutto in bianco e nero) tra una donna e un “cane robot” programmato per uccidere. “Black Museum”, episodio finale della stagione, pare una matrioska per come mette in scena un'antologia di storie dentro un'antologia, unendo una serie di fili (che si estendono anche agli episodi precedenti) e riflettendo su un tema molto caro alla fantascienza sin da Frankenstein: il confine tra vita e morte.
La stagione è perfettamente equilibrata tra episodi “americani” e “britannici”, con “Black Museum” addirittura pensato per unire le due anime della serie (la protagonista è inglese, ma la puntata si svolge in America). Per il resto è diseguale, con episodi di ottima fattura alternati ad altri eccessivi o banali. Quando però Brooker azzecca la formula, Black Mirror torna a volare, e soprattutto a fare cinema (il mezzo attraverso cui lo vediamo non conta, conta l'arte) capace di scandagliare le nostre paure più profonde e sopite. Ma, per fortuna, senza mai demonizzare la tecnologia in sé: il problema è sempre l'uso che ne facciamo noi. Il che, in un mondo in cui troppo spesso si tende a puntare il dito su cose come Internet, i social media o la TV, in quanto scuse perfette per distogliere l'attenzione da educazione e politica, è un dato importantissimo.
La quarta stagione di Black Mirror sarà disponibile su Netflix a partire dal 29 dicembre.