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Black Mirror torna alle origini, la recensione della quinta stagione

Una stagione di soli tre episodi, come la prima. Una scelta che ha decisamente pagato

Black Mirror 5

05.06.2019 - Autore: Marco Triolo
Ridurre il numero degli episodi ha pagato: dopo una quarta stagione altalenante, Black Mirror torna alle origini con una quinta composta da sole tre puntate (quattro, se contiamo l'interattivo Bandersnatch. Ma non lo conteremo). Ed è stata una scelta illuminata.
 
Da ormai nove anni, la serie antologica di Charlie Brooker esamina l'impatto della tecnologia nelle nostre vite, tra utopia e distopia. Il punto della questione è proprio questo: non guardare solo ai lati negativi, ma nemmeno ignorarli. Capire che cosa le nuove tecnologie possano portare di positivo nelle nostre vite e quali siano i problemi da gestire per tempo, prima che prendano derive incontrollabili.
 
I tre episodi di cui è composta la nuova stagione esaminano nel dettaglio proprio questo. E lo fanno appoggiandosi a tre distinti generi cinematografici: il thriller di negoziazione, l'heist movie e il dramma sentimentale. Tre storie che hanno il sapore di tre film veri e propri, specialmente la seconda puntata, interpretata da Miley Cyrus (forse la più debole delle tre, ma lo vedremo dopo).



SMITHEREENS
 
La stagione inizia con un episodio che praticamente è un lungo palcoscenico per la bravura di Andrew Scott, attore di Sherlock e della saga di Bond che prenota Emmy, Golden Globe e qualunque altro premio da qui all'anno prossimo. Scott interpreta Chris, tassista che prende in ostaggio lo stagista di una multinazionale proprietaria del social network che dà il titolo all'episodio. Chris ha uno scopo ben preciso, che verrà rivelato nel corso della puntata. Le cose ovviamente vanno storte e l'uomo si ritrova in una trattativa con le forze dell'ordine, in attesa che all'altro capo del suo telefono si palesi il fondatore di Smithereens (un Topher Grace in versione santone hipster), con cui lui vuole fare quattro chiacchiere.
 
L'episodio è un teso thriller, che si muove tra due continenti – una sintesi della natura ibrida anglo-americana della serie – ma resta quasi sempre confinato tra spazi angusti, siano essi l'abitacolo di un'auto o le pareti di un ufficio. La materia trattata è molto complessa e sfumata: si parla dell'assuefazione alla tecnologia e di come questa possa condurre a esiti drammatici. Ma lo si fa senza puntare il dito su nessuno, o meglio puntandolo su entrambe le parti in causa. Da un lato chi produce la tecnologia in modo tale che crei dipendenza. Dall'altra chi la usa male, nel posto sbagliato e al momento sbagliato. È in fondo un trattato sul libero arbitrio e una riflessione sulla nostra tendenza a dare la colpa a qualcun altro dei nostri errori. Quella stessa tendenza che ci sta trascinando sull'orlo dell'abisso come specie.



RACHEL, JACK AND ASHLEY TOO
 
Il secondo episodio è il più leggero dei tre. Si muove su due linee parallele: da una parte la storia di una pop-star, Ashley O (Miley Cyrus), infelice e insoddisfatta, pilotata da una zia manager senza scrupoli. Dall'altra quella di una teenager, Rachel (Angourie Rice, vista in Nice Guys e Spider-Man: Homecoming), fan sfegatata della prima, traumatizzata dalla recente morte della madre. Quando il padre le regala Ashley Too, una bambola dotata di intelligenza artificiale e dalla personalità modellata su quella della pop-star, le cose prendono una piega inquietante. Rachel non ha amici e inizia a trattare la bambola come una persona. Contemporaneamente, anche la vita di Ashley va incontro a una svolta cupa. Tutto sembra puntare verso il dramma più nero, ma a quel punto l'episodio cambia decisamente passo e si trasforma in una sorta di heist movie con sottotesto femminista, con tanto di finale all'insegna dell'affermazione di sé.
 
Peccato che questo sia anche l'episodio meno originale. Brooker si vuole divertire, e scrive una storia che prende una strada imprevedibilmente leggera per la serie. Ma, a ben guardare, le situazioni e certi personaggi di contorno – su tutti la zia di Ashley, una matrigna cattiva monodimensionale che pare uscita da un cartoon Disney – sono banali e scontati. E l'età di Charlie Brooker, che va per i cinquanta, si palesa nell'inadeguatezza con cui tratta l'ambiente musicale, fermo a un'iconografia tardi anni '90 / primi 2000. Comunque, uno snack piacevole prima del gran finale.



STRIKING VIPERS
 
Striking Vipers è, forse, il vero gioiello della stagione. Anthony Mackie, il Falcon dei film Marvel, interpreta un uomo all'apparenza felicemente sposato. Ma c'è qualcosa che non va, e l'incontro con un vecchio amico, che gli regala un picchiaduro in realtà virtuale, porta a galla sentimenti repressi e sconvolge per sempre il ménage famigliare.
 
Di più è difficile dire senza rovinare una storia toccante e molto intima. Possiamo però dire questo: Striking Vipers parla con grande profondità e lucidità dei modi con cui la tecnologia può davvero cambiare la nostra vita, il rapporto con gli altri, la sfera affettiva e sessuale. Facendo affiorare lati della nostra personalità che magari nemmeno sapevamo di avere. E modificando gli equilibri della società, creandone di nuovi, spingendoci ad evolvere. Una prospettiva che può fare molta paura, ma che non va temuta. Il genere umano si è sempre evoluto in rapporto alla tecnologia. L'unica differenza, ora, è che la tecnologia digitale ci mette a disposizione poteri finora impensabili. L'importante, come sempre, è come li useremo. E quello che Brooker ci suggerisce è che, finché li useremo per venire a patti in maniera onesta con noi stessi, gli effetti non potranno che essere positivi.
 
La quinta stagione di Black Mirror è ora disponibile su Netflix.

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