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Barriere - La nostra recensione del film di Denzel Washington

La storia di un afro-americano attraverso l'America dei grandi cambiamenti sociali e civili nella terza regia della star, candidata a quattro Oscar

Barriere

25.02.2017 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
Alla sua terza prova da regista, Denzel Washington adatta un testo teatrale di August Wilson (anche autore della sceneggiatura) vincitore del premio Pulitzer e da lui già interpretato a teatro. Barriere, storia di una famiglia afro-americana nell'epoca delle lotte civili e politiche di fine anni '50 / primi anni '60, è un veicolo per il carisma di Washington prima di tutto, ma anche un affresco che parte dalla Storia per raccontare una storia.
 
Troy Maxson (Washington) è un padre di famiglia di Pittsburgh, con un passato turbolento e una carriera limitata nelle leghe di baseball per i neri. Ora, a 53 anni, si ritrova a condividere la casa con la sua seconda moglie Rose (Viola Davis) e il figlio minore (Jovan Adepo). Ha anche un altro figlio dalla prima moglie, Lyons (Russell Hornsby), musicista squattrinato che spesso gli chiede prestiti, e un collega e migliore amico, Bono (Stephen Henderson), con cui condivide la fatica del lavoro di netturbino. Troy sta tentando da tempo di costruire una staccionata intorno alla casa, punto focale e grande metafora del film: Troy ha paura della morte e vuole tenerla fuori da casa sua. Ma ha anche eretto una barriera intorno a sé a causa del suo orgoglio e della sua testardaggine, e, per quanto sia un buon padre, è incapace di trattare con affetto il figlio Cory.

 
Barriere è un film di attori, principalmente: la messa in scena di Washington è minimale e rigorosa. Assenti sono gli arzigogoli tipici dei registi più consumati o con una voglia maggiore di far notare lo stile in mezzo  alla sostanza. A Washington questo non interessa affatto, quello che gli preme è veicolare alla perfezione la play di Wilson, infondendo quel minimo di ritmo cinematografico necessario per giustificare l'operazione.
 
Il risultato ha i suoi momenti di potenza, soprattutto quando sono in scena i due protagonisti, ormai a loro agio nei ruoli di Troy e Rose (anche la Davis ha interpretato la parte a Broadway). E riesce a riflettere in maniera per nulla banale sulla fragilità dei rapporti famigliari, sul fallimento e su come la frustrazione da esso derivante possa riversarsi da padre a figlio, causando crucci, remore e un deposito di guai psicologici da manuale. Washington è eccezionale nel misurare tutti i vari aspetti della personalità di Troy, che risulta allo stesso tempo irresistibile (soprattutto in versione “contaballe” all'inizio del film) e antipatico, un padre padrone mosso da motivi giusti ma incapace di trasformare le buone intenzioni in buone azioni.

 
La natura teatrale, tuttavia, non viene mai nascosta e dunque Washington non è in grado di, o forse non vuole, scrollarsela di dosso. Per questo, 139 minuti risultano un po' troppi, si cade nella verbosità che finisce per soffocare le emozioni, anche se queste riaffiorano prepotenti in un finale che chiude il cerchio sulle vite di questi eterni perdenti con enorme grazia. La questione razziale è giocata anch'essa con mano leggera e ben integrata nello sviluppo, anziché gridata come nel concorrente agli Oscar Il diritto di contare. Ne viene fuori un'opera sicuramente non priva di difetti, che forse andava sforbiciata e che, in mano a un regista più esperto, probabilmente sarebbe risultata meno “marmorea”. Ma che ha una sua dignità e, nel richiamare la classicità del cinema americano, ci trasporta in un'epoca ormai distante eppure più che mai vicina.

Barriere è distribuito in Italia da Universal Pictures.