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Arrival: la nostra recensione del film di fantascienza con Amy Adams

Amy Adams e Jeremy Renner parlano con gli alieni nel nuovo film del regista di Sicario. Grande fantascienza con un messaggio umanistico

Arrival

01.09.2016 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
Denis Villeneuve è un autore che negli ultimi anni si è fatto rapidamente strada, approdando a Hollywood dopo una gavetta in Canada. La donna che canta, Prisoners, Enemy e Sicario sono film molto diversi tra loro, uniti dalla sensibilità di un regista che pare uscito dall’America degli anni ’70 per la sua voglia di sperimentare con i generi. E ora eccolo alle prese con la fantascienza. Ma non quella spettacolare, quella in cui il termine science fiction diventa puramente una scusa per accumulare spettacolo ed effetti speciali (non che ci sia niente di male in ciò), ma quella propriamente detta, “finzione scientifica”, storie fantastiche che fungono da allegorie del nostro presente e vengono narrate con piglio molto realistico.



Arrival racconta quello che in gergo viene definito “primo contatto”, ovvero l’incontro tra la specie umana e dei visitatori alieni, i cui scopi sono totalmente indecifrabili quanto la loro lingua. Per tentare di capire il motivo del loro arrivo, l’esercito americano recluta una linguista del Montana, Louise Banks (Amy Adams), che vive a pochi passi dal luogo in cui è sceso uno di dodici giganteschi velivoli. Starà a lei interpretare la complessa scrittura degli alieni per impedire che l’incomprensione porti a una guerra tra le due razze.

Villeneuve usa benissimo i pochi ed essenziali effetti speciali del film, concentrandosi molto di più sul dramma umano. La difficoltà nell’accettare il più grande evento nella storia umana – che porta a disordini e incertezza nel mondo – i conflitti tra chi vorrebbe mettere mano ai fucili subito e il punto di vista di studiosi e scienziati, che cercano invece di usare la ragione per far avanzare l’umanità. Un quadro d’insieme sul primo contatto che “parla” attraverso le vicende di un ristretto gruppo di personaggi che popolano la base costruita vicino all’UFO. In particolare sono Amy Adams e Jeremy Renner ad accentrare su di sé la narrazione, con Forest Whitaker ottimo “satellite” di lusso nei panni di un colonnello più saggio e aperto di quanto possa sembrare.

Il grande pregio di Villeneuve è quello di saper esporre concetti estremamente complicati – si arriva a parlare del tempo stesso, ma anche del funzionamento del linguaggio e del suo ruolo di “architrave” dell’evoluzione umana – con una narrazione semplice e comprensibile. Nel finale si toccano idee molto affascinanti, quando il ruolo dei visitatori viene finalmente svelato e un twist narrativo rimette completamente in gioco quello che sapevamo fino a quel momento - ma in modo per nulla forzato. Anzi proprio nel cambio di prospettiva, e in un generale cambio di prospettiva della razza umana, sta il senso ultimo dell'opera di Villeneuve.



Anche visivamente Arrival è affascinante: il design delle astronavi e delle creature è diverso da quanto solitamente propone il cinema americano di oggi, e si vede che c’è stata una grande ricerca da questo punto di vista. E Villeneuve sa costruire il crescendo narrativo con consumata abilità, scegliendo di non svelare la forma delle astronavi (nonostante tutti i servizi televisivi mostrati nel primo atto del film) fino alla scena madre del primo incontro di Louise con gli extraterrestri.

Arrival è grande fantascienza, intelligente, mai banale, comprensibile da tutti e per questo potente nelle sue conclusioni. Un film che accende più di una speranza sulla riuscita del progetto controverso che Villeneuve sta girando attualmente, Blade Runner 2.

In uscita il 24 novembre, Arrival è distribuito in Italia da Warner Bros. Qui il trailer.

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