Treme: racconto di due Americhe

Tra gli appassionati di serie tv il titolo “The Wire” solleva sempre un certo piacere. La cosa è dovuta all’altissima qualità raggiunta dallo show sotto ogni profilo: sceneggiatura, regia, interpreti.  “The Wire” è infatti catalogabile come uno dei prodotti più felicemente complessi che siano stati messi a punto nell’ultimo decennio e, come quasi sempre accade, porta impresso il marchio dell’HBO. I bei ricordi cedono però presto il passo al pensiero buio che la serie sia conclusa. Oppure no perché gran parte della squadra che ha contribuito alla sua realizzazione, capitanata da David Simon e da Eric Overmeyer, adesso può dedicarsi a nuovi progetti. E l’attesa si riaccende subito perché la grande notizia è proprio questa: l’11 aprile in America debutta “Treme”.

Si lascia Baltimora per il delta del Mississipi, New Orleans precisamente. Dopo il passaggio dell’uragano Katrina ancora più precisamente.

L’intenzione è raccontare le storie di persone che non si sono lasciate piegare dalla disperazione, dalla distruzione, dalla morte provocate dalla furia mostruosa della natura e che hanno reagito all’abbandono di un’amministrazione drammaticamente inefficiente.

La città diventa il simbolo vivo dell’America intera che oggi è strapazzata dalla crisi economica, ma il discorso politico si allaccia ad una narrazione più umana e diretta che scende nei vicoli del quartiere Faubourg Tremé (da qui il titolo), dove si dice che sia nato il Jazz, per seguirne la ricostruzione anche morale, sociale e culturale attraverso gli occhi di un gruppo di abitanti di musicisti, dj, ristoratori di diversa estrazione.

Il melting pot, la contaminazione, la forza creativa che si sprigiona dall’incontro di civiltà diverse è l’America, ed è lì che bisogna tornare per rinascere a nuova vita e a nuova America. Il viaggio è carico di amore, di tristezza, di musica, di dolore, di energia e “Treme” lo affronta con commovente potenza.