È sempre il momento giusto per riproporre un film come l'Agora di Alejandro Amenàbar (Mare dentro, The Others), un dramma storico sullo scontro tra fede e ragione nel quale si intrecciano etica, morale, pensiero e spiritualità… e la grande interpretazione di Rachel Weisz nei panni della matematica, astronoma e filosofa greca uccisa dai cristiani durante la quaresima del 415).
Il film. Nell'Alessandria d'Egitto del 391 dopo Cristo, la filosofa Ipazia, ultima erede della cultura antica e forse, in quanto donna, massima espressione di una lunga evoluzione civile e di una libertà di pensiero che non si rivedrà più fino all'epoca moderna, viene travolta dalla crisi di un mondo, quello pagano, che non ha saputo ripensarsi, trovandosi così impreparato di fronte al nascere - e presto al dilagare - di movimenti religiosi sempre più fanatici e intolleranti. Fra questi i "parabolani", la setta cristiana che arriva a distruggere la biblioteca del Serapeo, dove Ipazia lotta insieme ai suoi discepoli per salvare la saggezza del Mondo Antico. Tra questi ultimi, due uomini in lotta per il cuore della filosofa: l’arguto e privilegiato Oreste e Davo, il giovane schiavo di Ipazia, che è diviso tra l’amore segreto per lei e la libertà che potrebbe ottenere se si unisse alla rivolta ormai inarrestabile dei cristiani. Con ostilità implacabile, il vescovo Cirillo attacca senza sosta "l'eretica" Ipazia, fino a condannarla a morte...
Dietro le quinte. Le riprese principali del film si svolsero a Malta nel marzo del 2008, presso il Forte Ricasoli di St. Rocco Street (utilizzato per molti altri film del genere, come il Troy del 2004): quindici settimane nelle quali lo scenografo Guy Hendrix Dyas ricostruì ampiamente i set invece di ricrearli digitalmente, utilizzando fino a 400 persone e realizzando il più grande set mai visto sull'Isola (nella stessa zona in cui venne eretto il Colosseo di Il gladiatore nel 2000). Il CGI tornò comunque utile per modificare la volta stellata, che nel film riproduce fedelmente quella del periodo in cui si svolge l'azione. Riguardo gli attori, la sola Rachel Weisz rimase nel progetto tra i nomi fatti dal regista alla produzione, come quelli di Jonathan Rhys Meyers e di Sacha Baron Cohen, che rifiutò la proposta dopo aver letto la sceneggiatura e averla giudicata "spinosa" e potenzialmente irritante.
Perché vederlo. In nome di Dio, Not in my name, da sempre il nostro genere ha qualche difficoltà a gestire autonomamente le grandi responsabilità, private e comunitarie… Qualcuno cerca una risposta nella cultura, o meglio nella ragione, anche se non sempre questa scelta è risultata accettabile a seconda dei contesti. In questo spazio si muove la Ipazia di Amenabar, un simbolo per sua stessa natura e caratterizzazione, anche del tentativo di affrontare il kolossal da parte di un regista che si era dimostrato eccellente con thriller e dramma. Una straordinaria Rachel Weisz è una donna di ragione in un mondo dominato dalla contrapposizione di diversi integralismi, che si muove una ricostruzione accurata al punto da rendere la vicenda - storica, per quanto romanzata - avvincente anche solo per dispendio scenografico e talento visivo.
Il film. Nell'Alessandria d'Egitto del 391 dopo Cristo, la filosofa Ipazia, ultima erede della cultura antica e forse, in quanto donna, massima espressione di una lunga evoluzione civile e di una libertà di pensiero che non si rivedrà più fino all'epoca moderna, viene travolta dalla crisi di un mondo, quello pagano, che non ha saputo ripensarsi, trovandosi così impreparato di fronte al nascere - e presto al dilagare - di movimenti religiosi sempre più fanatici e intolleranti. Fra questi i "parabolani", la setta cristiana che arriva a distruggere la biblioteca del Serapeo, dove Ipazia lotta insieme ai suoi discepoli per salvare la saggezza del Mondo Antico. Tra questi ultimi, due uomini in lotta per il cuore della filosofa: l’arguto e privilegiato Oreste e Davo, il giovane schiavo di Ipazia, che è diviso tra l’amore segreto per lei e la libertà che potrebbe ottenere se si unisse alla rivolta ormai inarrestabile dei cristiani. Con ostilità implacabile, il vescovo Cirillo attacca senza sosta "l'eretica" Ipazia, fino a condannarla a morte...
Dietro le quinte. Le riprese principali del film si svolsero a Malta nel marzo del 2008, presso il Forte Ricasoli di St. Rocco Street (utilizzato per molti altri film del genere, come il Troy del 2004): quindici settimane nelle quali lo scenografo Guy Hendrix Dyas ricostruì ampiamente i set invece di ricrearli digitalmente, utilizzando fino a 400 persone e realizzando il più grande set mai visto sull'Isola (nella stessa zona in cui venne eretto il Colosseo di Il gladiatore nel 2000). Il CGI tornò comunque utile per modificare la volta stellata, che nel film riproduce fedelmente quella del periodo in cui si svolge l'azione. Riguardo gli attori, la sola Rachel Weisz rimase nel progetto tra i nomi fatti dal regista alla produzione, come quelli di Jonathan Rhys Meyers e di Sacha Baron Cohen, che rifiutò la proposta dopo aver letto la sceneggiatura e averla giudicata "spinosa" e potenzialmente irritante.
Perché vederlo. In nome di Dio, Not in my name, da sempre il nostro genere ha qualche difficoltà a gestire autonomamente le grandi responsabilità, private e comunitarie… Qualcuno cerca una risposta nella cultura, o meglio nella ragione, anche se non sempre questa scelta è risultata accettabile a seconda dei contesti. In questo spazio si muove la Ipazia di Amenabar, un simbolo per sua stessa natura e caratterizzazione, anche del tentativo di affrontare il kolossal da parte di un regista che si era dimostrato eccellente con thriller e dramma. Una straordinaria Rachel Weisz è una donna di ragione in un mondo dominato dalla contrapposizione di diversi integralismi, che si muove una ricostruzione accurata al punto da rendere la vicenda - storica, per quanto romanzata - avvincente anche solo per dispendio scenografico e talento visivo.
La scena da antologia. L'assalto furioso e incontrollato al Serapeo fortificato e la devastazione della leggendaria Biblioteca di Alessandria ci mostrano un'onda senza controllo e senza 'testa', in ogni senso, che si riversa in maniera confusa su tutto quanto non accetta o conosce, e quindi capisce: una allegoria evidente che tutti - anche chi si fa forza del proprio essere vittima - dovremmo tenere a mente, e davanti agli occhi.
I premi. I sette Premi Goya vinti dal regista spagnolo nel 2010 (su 13 candidature: miglior sceneggiatura originale, migliore fotografia, miglior scenografia, migliori costumi, miglior trucco, miglior produzione e migliori effetti speciali) restano il miglior biglietto da visita per il film che all'estero vinse anche il Nastro d'argento per i migliori costumi, il CinEuphoria Award per la migliore Art Direction e il Premio Lumia per la Migliore Storia.
Dove e quando. Alle 22.55 su Rai 5, canale 23 del digitale terrestre e 13 della piattaforma satellitare TivùSat.