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Il vuoto di Matrix

Questo articolo presuppone la lettura del racconto di Arthur Pang sulla saga di Matrix, "Giù le mani da Matrix", nonché ovviamente la visione della 'trilogia'.

Matrix Revoluitions 3

12.04.2007 - Autore: Matteo Nucci
Ho letto con grandissimo piacere la storia appassionata che Arthur Pang ci ha raccontato su Matrix. Il piacere però non va di pari passo con le perplessità. Dirò subito quale sia il mio dubbio principale. Possibile che per seguire la trilogia di Matrix, noi gente si debba aver bisogno di qualcuno che sappia spiegarcela? Da quando in qua un film necessita di una spiegazione approfondita che è al di fuori del film stesso?   Ecco alcune considerazioni più dettagliate.   Di carattere formale, innanzitutto. La maggior parte dei difensori di Matrix 3 (così come, in parte, di Matrix 2) sostiene che si debba fare un grande sforzo e che il film debba essere rivisto. Ora, è mai possibile? Capisco perfettamente l’amore dei cinefili per la reiterata visione di uno stesso film. Si tratta di un amore pari a quello dei lettori che adorano rileggere uno stesso libro. Ma quegli amori sono di carattere totalmente diverso rispetto alla necessità di rivedere Matrix 3. Non si torna al cinema o su un libro perché la prima volta non si è capito nulla. Bensì per notare altri particolari, risentire – e ampliare – certe emozioni, approfondire e ripercorrere. Certo, chi legge una volta la “Fenomenologia dello spirito” di Hegel forse dovrà rileggerla proprio perché non ha capito nulla prima. Ma un film non è un’opera filosofica e, se anche lo fosse – mi perdoni il signor Pang –, i fratelli Wachowski non sono Hegel. Per farla breve, se “Il settimo sigillo” o magari “Otto e Mezzo” possono lasciarmi il desiderio di ritornare subito alla proiezione non è mica perché non ho capito nulla del film. Chi paga il biglietto per andare a vedere Matrix 3, peraltro, non può esimersi dall’aver visto Matrix 1 e Matrix 2. Ma è giusto? Voglio dire, una cosa sono i telefilm un’altra i film. Film che non sono opere complete in se stesse possono essere considerati a pieno titolo film? Matrix 1 lasciava la porta aperta ma aveva comunque una completezza interna, quello che non accade ai due che lo seguono. Concepiti insieme (sembra scontato a leggere l’intera storia che ci racconta Arthur Pang), Matrix 2 e 3 sarebbero l’opera furba di chi ha deciso di produrre film incompleti che bisogna aspettare anni (ovvero l’uscita dei sequel) pur di capirne qualcosa. Mi chiedo: si tratta di un’operazione corretta? Chi non avesse seguito quest’argomentazione è invitato ad aspettare le considerazioni di carattere sostanziale.   Eccole. Matrix 3 si apre con una lunga sezione assolutamente incomprensibile (Pang non fa nulla per darci lumi). Cos’è questo limbo in cui si trova Neo? Ce lo spiega il film precedente? No. Ce lo spiegherà quello seguente? Chissà. Forse fra anni. E come posso, allora, adesso, giudicarlo se non so a cosa serve? In questa lunga sezione che trova il suo culmine nell’unica battuta di Monica Bellucci (grasse risate in sala – ma è colpa della battuta? dell’attrice? del film?), appare un personaggio che sembra rivestire una certa importanza e che infatti viene citato da Pang stesso. Una bambina indiana. La ritroviamo insieme all’oracolo e in un’altra scena che dovrebbe essere rilevante. Ora, qualcuno saprebbe spiegarmi a cosa serve questo piccolo personaggio? Forse dovremo aspettare Matrix 4. Benissimo. Ma Matrix 3 non spiega nulla. Nulla di nulla. Neppure qualche allusione con il pregio della ‘licenza poetica’. Nulla. La bambina è un’incognita. È giusto dirmi che devo aspettare per capire o che devo rivedere il film tre volte pur di immaginare (ripeto: immaginare) una qualche possibile soluzione? Siamo seri. Il personaggio della bambina all’interno della sceneggiatura di Matrix 3 non ha alcun senso se non quello di lasciare dubbi. Ma i dubbi veri, positivi sono quelli che emergono da un sottofondo di senso, non dal sottofondo del nulla.   Il resto del film – non me ne voglia il Signor Pang – è costituito in sostanza dalle seguenti parti: battaglia, morte di Trinity, conversazione con le macchine, duello finale, ultima scena. La prima è un’interminabile battaglia in cui fioccano citazioni che più che citazioni sono scopiazzature (in particolare di “Guerre Stellari” – ossia trent’anni fa!) molto poco articolate e per nulla brillanti. C’è un picco che resta forse esemplare della retorica (per nulla grottesca o autoironica) che gronda dalla battaglia in difesa di Zion. Ed è lo scambio di battute fra il comandante morente e il giovane che ne sta per prendere il posto. Ecco le parole degli interessati. Giovane (al comandante che gli spiega come liberare la porta d’accesso): “Ma, signore, non ho finito il corso di addestramento”. Comandante (prima di spirare): “Neanch’io”. La seconda è una melensa lunghissima pappa di amore che non provoca nessun brivido (e mi astengo dal descriverla per assenza di coraggio). La terza è l’unico momento in cui si possa pensare che abbia avuto senso la visione del film: è lì che troviamo le uniche riflessioni stimolanti e le uniche allusioni con un sottofondo di senso. Il duello è un duello (visivamente affascinante) in cui spicca – molto dignitoso – il sacrificio di Neo con una sponda di buone considerazioni sull’antitesi bene-male. Il finale assolato è nuovamente incomprensibile, ma si tratta di una semplice apertura a Matrix 4 e non credo debba essere commentata. In sostanza: dopo l’uomo del treno (incomprensibile), abbiamo una lunga battaglia (dove è possibile sguazzare a lungo nella retorica) fino ai quindici minuti finali. Minuti dignitosi, senonaltro perché tutto è relativo e quanto precede è il vuoto più assoluto.   Arthur Pang ha concluso il suo articolo accusando la gente di non voler capire e non voler scendere oltre il velo di Maia preparato dai filosofici fratelli. Dovremmo tutti rivedere il film e capire quanto non abbiamo capito. Penso siano adatte alle considerazioni di Pang tre parole che usò appunto Hegel nel suo libro di così difficile comprensione “La fenomenologia dello spirito”: «Il vero è l’intero». Un concetto molto semplice e chiaro in base a cui nulla si può comprendere senza l’intero in cui è inserito. Ma qual è l’intero di Matrix?