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Five Came Back, su Netflix i grandi registi di Hollywood raccontano la Seconda Guerra Mondiale

Capra, Stevens, Huston, Ford, Wyler e i loro incredibili reportage di guerra raccontati da Spielberg, Coppola, Greengrass, Kasdan e Del Toro. La nostra recensione

Five Came Back

15.03.2017 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
Tre episodi per raccontare cinque registi. Tre episodi per raccontare la Seconda Guerra Mondiale da una prospettiva inedita. Quella di John Ford, John Huston, Frank Capra, William Wyler e George Stevens, i cinque autori hollywoodiani coinvolti nella guerra come reporter esclusivi del conflitto in Europa e nel Pacifico.
 
Five Came Back è una miniserie di documentari prodotta da Netflix insieme alla Amblin Television di Steven Spielberg, e scritta da Mark Harris da un suo stesso libro. Sfoggia la voce narrante di Meryl Streep, un tema musicale scritto appositamente da Thomas Newman (Wall-E, Skyfall) e interviste esclusive a Spielberg, Francis Ford Coppola, Paul Greengrass, Lawrence Kasdan e Guillermo del Toro. Cinque autori per parlare di cinque autori.

 
Ma, al di là di tutta questa opulenza, c'è della sostanza? Eccome se c'è. Five Came Back è una serie molto ben realizzata, molto chiara nell'esposizione e si avvale di materiale straordinario girato dai cinque registi del titolo all'epoca del conflitto. Riesce a mettere ordine nella storia del loro coinvolgimento nella guerra, da Pearl Harbor agli attacchi nucleari al Giappone. Nel mezzo c'è tutta l'ascesa di Hitler narrata dal punto di vista degli americani: la percezione di quanto avveniva in Europa, un mondo dapprima distante, la lotta interna tra i sostenitori di un intervento americano e il fronte della neutralità rispetto a una guerra che l'America non sentiva come propria.
 
Ma il punto di vista dei registi coinvolti nella guerra è anche interessante perché dipinge un affresco multiculturale dell'America. D'altra parte, Frank Capra era un immigrato siciliano e William Wyler veniva dall'Alsazia. La loro doppia natura di europei e americani si fa simbolo di un'entrata in guerra inevitabile. Il discorso etnico e razziale viene poi esteso in maniera intelligente da Harris e dal regista Laurent Bouzereau, fino a includere sia i problemi razziali tra soldati di varie etnie (specialmente gli afro-americani e la loro situazione di apartheid), sia la percezione del nemico da parte degli americani. Gli stereotipi sui giapponesi, rappresentati come ingranaggi intercambiabili di un sistema totalitario, esserini miopi e dai denti sporgenti, formiche operaie in sostanza, furono perpetrati da Frank Capra e altri colleghi.

 
L'analisi è quindi lucida e spietata: attraverso le interviste a Spielberg, Greengrass, Coppola, Del Toro e Kasdan si esplora sia il lato nobile e larger-than-life dei “cinque”, sia le ombre derivanti da una società in cui il razzismo, per quanto combattuto (come nel caso del documentario The Negro Soldier, prodotto da Capra), era ancora endemico. Ne esce un ritratto vero, sincero e coinvolgente, che mette a confronto la propaganda nazista, fatta di parate magniloquenti e simboli, con la ricerca del vero portata avanti dagli Alleati. Al punto da concentrarsi parecchio sulle polemiche derivate dalle ricostruzioni di battaglie operate in certi casi dai cinque, per necessità o vanagloria.
 
Si esce dalla visione con la voglia di recuperare tutti i documentari e cinegiornali girati e prodotti da Capra, Stevens, Huston, Ford e Wyler. Forse il complimento più grande che si possa fare a questa serie.