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Anthony Bourdain ricordato alla proiezione finale di Cucine Segrete 

La dodicesima annata del format culinario si presenta a New York con una toccante confessione dello chef protagonista.

24.09.2018 - Autore: Mattia Pasquini
Si è parlato molto di Anthony Bourdain, recentemente, e non per i sei Premi Emmy vinti postumi dal suo Anthony Bourdain: Cucine segrete. Per fortuna, lasciandoci alle spalle la querelle nata dalle dichiarazioni di Jimmy Bennet e Asia Argento, abbiamo l'occasione di ricordare lo chef scomparso a giugno proprio per il suddetto show, 'Parts Unknown', del quale è stata appena presentata la dodicesima e ultima stagione.

È stato molto emozionante per il pubblico della proiezione tenutasi a New York, in quel di Tribeca, sentire di nuovo la voce del sessantaduenne gastronomo e scrittore morto suicida, e soprattutto ascoltare le sue ultime parole in chiusura di programma: "Faccio del mio meglio. Osservo, ascolto, ma alla fine so che si tratta della mia storia. Queste storie devo essere sentite".

"Non avevamo alcuna idea di cosa stesse parlando" ha commentato sorridendo il regista Morgan Fallon, ricordando quei momenti della lavorazione, nella quale Bourdain stesso aveva voluto sottolineare come al centro dei suoi viaggi ci fossero gli stessi Paesi visitati e le persone incontrate, e non lui. "Non sono io la storia, qui. La storia è questo posto, e questa gente", aveva spiegato a Fuller.

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E per quanto l'intero episodio mostrato, centrato sul viaggio realizzato in Kenia in compagnia del W. Kamau Bell di United Shades of America, viva di questa filosofia di fondo, uno dei suoi momenti più indimenticabili - o che più segnerà gli spettatori - sarà proprio quello in cui il conduttore, ammirando la sconfinata savana davanti a sé, conclude: "Quando le telecamere si spengono, devo pizzicarmi per esser sicuro di non stare sognando. Non posso credere a quello che sto facendo".

Un pensiero del quale Chris Collins (produttore insieme a Lydia Tenaglia) chiarisce le origini, spiegando come l'approccio dello chef al suo viaggiare fosse cambiato negli anni: "Per lui, era iniziato come una trovata furba, un 'davvero me lo fanno fare?'. Poi, col tempo, era diventato un lavoro, e poi una professione. Fino a diventare una missione di vita".
 
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