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Top Five: il meglio di Roman Polanski

Sta per tornare al cinema con il thriller "L'uomo nell'ombra": è il maestro della paranoia Roman Polanski, che celebriamo qui ricordando cinque tra i suoi film più leggendari.

L'uomo nell'ombra - Roman Polanski

08.04.2010 - Autore: Marco Triolo
Si è parlato tanto negli ultimi mesi di Roman Polanski, anche se i motivi erano sempre slegati dal suo talento di regista. Qui non ci interessa parlare dell’uomo, o discutere sugli oscuri episodi del suo passato. Ci chiamiamo Film.it, dunque di una sola cosa vogliamo parlare: di film. E visto che questa settimana uscirà “L’uomo nell’ombra” (qui la nostra recensione), atteso nuovo capitolo di una filmografia che negli ultimi cinquanta anni ci ha riservato più di una prova magistrale, festeggiamo ricordando cinque film che hanno fatto grande il cinema del regista. Un cinema di forze anarchiche e deflagranti che si nascondono sotto un velo di spaventosa normalità. Sarà difficile scegliere un ordine particolare, ma ci proveremo.

Il coltello nell'acqua

5. “Il coltello nell’acqua” (1962)
Marito, moglie e ospite inatteso (un autostoppista alquanto sospetto) si ritrovano insieme in una piccola crociera sulla barca a vela del capofamiglia. La rivalità virile tra i due uomini e l’evidente e sempre più accesa tensione sessuale tra il ragazzo e la donna esploderanno in un crescendo di sospetto, rancore e tradimento. Polanski, già in quella che è una delle sue prime prove, mostra una grande capacità di gestire la suspence, che scaturisce dagli sguardi e dal linguaggio del corpo, più che dai fatti. Di trama, appunto, “Il coltello nell’acqua” ne ha pochissima: ma ti aspetti che da un minuto all’altro accada qualcosa in grado di spezzare quel flebile equilibrio. L’autostoppista pare all’inizio una figura capace di perturbare e dunque rivoluzionare il nido piccolo-borghese della coppia (a un certo punto è ritratto come un Cristo), ma alla fine si rivelerà solo un altro ricordo da chiudere a chiave nei meandri del passato, per continuare a vivere un’esistenza di mediocrità.

Chinatown

4. “Chinatown” (1974)
Anche in un film da lui non scritto, Polanski riesce a infilare le sue ossessioni. La “Chinatown” del titolo non è un luogo geografico, ma un luogo dell’anima: rappresenta tutto ciò che ribolle sotto la superficie, indomabile. E’ qualcosa che va dimenticato, spazzato sotto il tappeto, affinché la struttura della realtà non crolli come un castello di carte. “Chinatown” è fondamentalmente un noir: la storia di un’indagine condotta dall’investigatore privato Gittes (un grandioso Jack Nicholson) che a partire da un omicidio passato per un banale incidente scopre un mondo corrotto fatto di speculazione edilizia e incesto. Ma, come detto, Polanski lo personalizza mostrando il marcio che viaggia sotto la soglia dell’attenzione. Il personaggio dell’imprenditore interpretato da John Huston è una delle più raggelanti personificazioni del Male a memoria di cinefilo. Un film formalmente magistrale, ma capace anche di emozionare e coinvolgere sino all’amaro finale. Perché quando apri il vaso di Pandora, le cose non possono mai andare a finire bene.

Cul-de-sac

3. “Cul-de-sac” (1966)
Ancora una volta, dopo “Il coltello nell’acqua”, Polanski pone al centro di un suo film un trio di protagonisti composto da due uomini e una donna. La storia è nuovamente ambientata in un luogo isolato: là una barca in mezzo a un lago, qui un castello medievale in cima a una rocca, circondata dall’alta marea. La tesi di “Cul-de-sac” è che ogni uomo è un’isola: ognuno è separato dagli altri pur nella vicinanza, e ciascuno è mosso da puro egoismo e istinto di sopravvivenza. Con la maestria di cui ha dato prova tante volte, il regista riesce a parlare di temi tanto agghiaccianti facendoci anche sorridere in più di un’occasione, grazie al suo geniale umorismo nero. Merito anche di attori come Donald Pleasence e Lionel Stander, che si rubano la scena a vicenda, e della bellezza di Francoise Dorléac. Di nuovo, Polanski ritrae l’abbruttimento di una classe borghese che nasconde il proprio vero volto dietro un paravento di rispettabilità.

L'inquilino del terzo piano

2. “L’inquilino del terzo piano” (1976)
Con una struttura circolare che anni dopo sarebbe stata ripresa da David Lynch in “Strade perdute”, Polanski racconta la discesa negli inferi della pazzia di un uomo qualunque. Trelkovsky (un alter ego del regista da lui stesso interpretato) è un architetto dai modi sobri che affitta uno squallido buco in un palazzo parigino, dove poco prima si era suicidata una ragazza. Tormentato da vicini ossessionati dal silenzio, l’uomo finirà per convincersi che sia in atto una cospirazione per spingerlo a seguire le orme della suicida. Un delirio di paranoia che racchiude tanti dei temi cari al regista: la normalità asfissiante, l’isolamento (gli inquilini vogliono vivere in pace chiusi nel loro mondo ovattato) e infine la banalità del male e della tragedia. Grandissimo cinema d’autore che va al di là del semplice thriller.

Rosemary's Baby

1. “Rosemary’s Baby” (1968)
Angosciante, snervante, inquietante, spaventoso: migliori complimenti non potrebbero essere fatti a un film dell’orrore, ma “Rosemary’s Baby” merita tutti questi appellativi. Forse il miglior film di Polanski, è la summa di tutta la sua poetica. Racconta la storia di una coppia di giovani sposini (Mia Farrow e John Cassavetes) che si trasferiscono in un tetro condominio di New York, dove lei finisce sull’orlo della pazzia dopo essersi accorta che i vicini fanno parte di una setta satanica, e l’hanno spinta ad accoppiarsi col Demonio per partorire l’Anticristo. Come si vede, il Male è rappresentato anche qui dai banali e fin troppo mediocri vicini di casa. E ancora una volta la paranoia s’insinua nelle vite dei protagonisti, divorandone il futuro in un buco nero. I tocchi di umorismo non mancano, ma scene come quella del Sabba non si dimenticano facilmente. Eppure, come suo solito, Polanski riesce a confezionare ben più di un film di genere. Da vedere e rivedere perché ancora adesso, a quarant’anni di distanza, parla dell’oggi come pochi altri horror hanno saputo fare.

Per saperne di più
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