
Ex socio di Lars Von Trier nel movimento "Dogma", il danese Vinterberg torna ai temi drammatici dopo aver realizzato la tanto discutibile commedia “Riunione di famiglia”. S’intitola “Submarino” ed è praticamente un’infinita tragedia in molto più di tre atti. Lo scopo del regista è quello di riflettere sul lato oscuro della vita. Ci racconta la storia di due fratelli e tutte le tragedie da cui vengono colpiti. Si comincia col bambino che devono accudire al posto della madre alcolizzata. La macchina da presa osa sul cadavere del neonato e quello è solo “il biglietto da visita” del film. Dissolvenza, riecco i fratelli trent'anni dopo: la loro vita è distrutta, i loro rapporti inesistenti. Uno è un ubriacone il cui cuore è stato spezzato dalla donna che amava. L’altro è un vedovo con figlioletto a carico. I servizi sociali minacciano di togliergli il ragazzino, non solo a causa della sua difficoltà nel trovare lavoro ma soprattutto per la sua dipendenza da eroina. La fortuna però è dietro l’angolo e cosa fa il padre single? Decide di mettersi a spacciare per le strade. Riuscirà a salvarsi dalla galera?

Già a metà film lo spettatore viene messo KO dalla cupezza dei toni: quella stessa riflessione sull’oscurità che il regista voleva esplorare diventa invece il pretesto per un’ostentazione gratuita capace di far star male chi guarda lo schermo. Non stupitevi se alla fine del film uscirete dal cinema di pessimo umore. O vi sentirete perfino presi in giro, dal momento che nel mondo decadente messo in scena da Vinterberg c’è comunque il sole all’orizzonte. Alla fine si è improvvisamente capaci di amare e di trovare amore, nonostante i terribili eventi messi in scena. Decisamente impossibile trovare una storia più forzata di questa.